Ci sono nerd nippofili che da un anno attendono Godzilla – Il pianeta dei mostri (Godzilla – Kaijū wakusei), primo capitolo di una trilogia che ha incassato oltre trecentoquaranta milioni di yen nelle sole sale cinematografiche giapponesi, nelle quali è uscito il 17 novembre 2017 .
L’attesa è finita: dal 17 gennaio Netflix ha messo online per 190 paesi questo primo capitolo creato dalla Polygon Pictures e prodotto da TOHO Animation che vanta uno staff e un cast d’eccezione per la prima versione animata dedicata al franchise di Godzilla (che conta trentadue film, incluso quest’ultimo) e che promette di attirare a sé anche un pubblico disinteressato alla cinematografia dei kaijū.
Alla riconquista del pianeta Terra.
Da un giorno all’altro sulla Terra compaiono mostri (i kaijū) che distruggono le città e terrorizzano il genere umano, il quale si ritrova a dover combattere questa minaccia. Alcune battaglie vengono vinte, ma i mostri continuano a comparire e uno – più di tutti – porta distruzione e sembra imbattibile: Godzilla.
Sulla Terra arriva tempo dopo un’astronave aliena che chiede ospitalità per il suo popolo, gli exif, che in cambio faranno conoscere la vera religione e aiuteranno gli umani nella lotta contro queste creature; così per mezzo secolo l’alleanza va avanti, ma alla fine le razze umanoidi (tra cui si aggiunge quella dei bilsard) devono arrendersi e scelgono di selezionare degli esseri umani per salire sulla nave spaziale Aratrum al fine di migrare – con gli altri extraterrestri – verso un nuovo pianeta.
Il nostro protagonista, Haruo Sakaki (voce di Mamoru Miyano), è un bambino quando sale con il nonno sull’astronave che compie un viaggio di undici anni luce dalla Terra verso il pianeta Tau Cetus E. Vent’anni di migrazione, di fame, di stress psicologico e suicidi portano all’amara verità dell’inutilità del viaggio che ha causato la perdita di diverse vite umane, tra cui il nonno di Haruo; il comando della nave spaziale si trova in una situazione critica, non sapendo dove poter migrare e far rifornimenti, l’unica soluzione sembrerebbe far ritorno sulla Terra tramite una scorciatoia spaziale e lasciare poi la nostra Galassia per un viaggio verso l’ignoto.
Haruo, diventato un giovane generale dal temperamento ribelle, crede che l’umanità non abbia giocato tutte le sue carte e che sia sia arresa a causa della propria incompetenza: se avesse studiato meglio Godzilla, avrebbe trovato i punti deboli del mostro radioattivo. Mentre Haruo è agli arresti per insubordinazione, con la complicità di un prete exif, Metphies (Takahiro Sakurai), mette mano a vecchi file su Godzilla, convinto che il mostro abbia un punto debole individuabile seguendo una determinata strategia, ha solo bisogno di uomini coraggiosi e veicoli adatti per la spedizione. Il consiglio a capo dell’Aratrum ascolta le teorie di Haruo e decide di approvare il suo piano facendo ritorno sulla Terra, assegnando il giovane alla vigilanza di Elliot Leland (Daisuke Ono), comandante della rischiosa spedizione.
Arrivati nell’orbita terrestre scoprono che sul Pianeta Blu sono passati 10.000 anni, ad attenderli non c’è più la Terra che conoscevano, l’atmosfera e l’ecosistema sono cambiati: è dunque possibile che anche Godzilla sia morto e ci sia speranza per gli umanoidi?
Venti di cambiamento nella filmografia kaijū.
Per chi è un estimatore della cinematografia di Godzilla e compagni il film risulta un’eccitante sorpresa; per chi invece è abituato a consumare opere sci-fi questo film risulta piuttosto ordinario e sa che il Giappone ha una produzione animata di qualità con storie molto più originali. Eppure questa versione di Godzilla promette di essere indimenticabile.
Per capire il valore di questa pellicola bisogna fare una riflessione intorno alla filmografia kaijū e le sue origini. Quando nel 1933 King Kong fece straordinari incassi nelle sale giapponesi (oltre che in tutto il mondo), il produttore cinematografico Tomoyuki Tanaka dei TOHO Studio si appassionò a quel tipo di film e il successo riscontrato anche da Il risveglio del dinosauro (1953) portò alla nascita di Godzilla nel 1954, film che aprì a una filmografia più ampia dedicata a mostri distruttori nati da esperimenti e radiazioni nucleari.
Costi di produzioni minimi e grandi incassi: questo era l’obiettivo dietro a questo tipo di cinematografia sintesi tra sci-fi e fantasy, senza reali contenuti importanti o storie articolate. Quei mostri esorcizzavano in qualche modo il terrore del nucleare e di esperimenti più grandi dell’uomo, ma la vena critica dietro di essi era più che altro funzionale a giustificare l’esistenza dei mostri che non provenivano dal folklore nipponico, ma nascevano per il cinema.
Gen Urobuchi (Phantom, Puella Magi Madoka Magica, Psycho Pass, Fate/Zero), ideatore e sceneggiatore di questa trilogia animata (scritta insieme a Sadayuki Murai, sceneggiatore di Blame! e Knights of Sidonia), viene dall’olimpo dei grandi autori giapponesi e deve il suo successo a una fervida immaginazione caratterizzata da una tormentata ricerca di umanità all’interno di scenari terribili e senza speranza. Urobuchi riesce ad emozionare grazie a un approccio profondamente empatico e mai banale, dove protagonisti sono personaggi realistici e con tutte le debolezze dell’essere umano, strumenti per una ricerca gnostica e teologica complessa e mai del tutto afferrabile.
Come si possono accostare Urobuchi e Godzilla? Sembrano due universi inconciliabili e – in quanto tali – opposti e in grado di completarsi se uniti; un universo povero di contenuti viene così analizzato, complicato, concentrato e riempito di riflessioni, paure, sofferenze, debolezze e spiritualità creando non il più originale dei racconti ma un Godzilla inedito ed emozionante.
Una storia di riscatti.
Urobuchi in un certo senso sta operando un’opera di riscatto verso una filmografia che è ben inseribile nel cinema trash, non molto distante dai nostri cinepanettoni. Predominante nell’opera è il riscatto del genere umano privato della sua Terra, umiliato nelle condizioni in cui vive, con il rimpianto di aver abbandonando i più deboli alla distruzione dei mostri; vive in una condizione in cui ha dimenticato cosa vuol dire vivere, senza contare che le generazioni nate nello spazio non conoscono la terraferma.
Ai consumatori di anime e manga la storia potrà sembrare sulla stessa scia de L’attacco dei giganti, nelle intenzioni e nei sentimenti dei personaggi è impossibile non sentire l’eco di questa serie cult, ma ciò non deve far pensare a un tentativo di emulazione; ci sono molti riferimenti ad altre serie d’animazione e tutto ciò sembra essere intenzionale non tanto come tributo (o scelta accattivante), ma come indizi fuorvianti. Tra battaglie di straordinaria animazione in 3D, momenti d’adrenalina, strategie militari ed espedienti per conoscere i personaggi, ci sono momenti anomali – di pochi secondi – che sembrano far intuire una trama nascosta, qualcosa che potrebbe attivare un plotwist sorprendente nei prossimi capitoli, perché niente nella sceneggiatura sembra inserito a caso. L’insistenza dell’elemento teologico legato al mistero della comparsa dei mostri (e di Godizilla più di tutti) fa pensare che questa guerra non sia che uno specchietto per le allodole per trattare di tematiche molto più profonde e di radicale critica, nonostante siano solo marginali rispetto alla vicenda narrata.
Rimanendo più in superficie e concentrando l’attenzione sulla parte tecnica, è possibile che l’animazione 3D dello studio Polygon Pictures non risulti accattivante a un primo approccio, ma la regia di Kobun Shizuno (Detective Conan, Knights of Sidonia) e Hiroyuki Seshita (Ajin, Blame!) ha già dimostrato in lavori a quattro mani come Knights of Sidonia, quanto questa via dell’animazione può essere affascinante, e risulta incredibilmente efficace applicata a Godzilla e gli altri mostri. Questa forma espressiva è totalmente adatta al contesto e convince, anche se può creare diffidenza in un primo momento, ma è quando si entra nel vivo dell’azione che dimostrano la qualità e quanto rendano il lavoro accattivante.
Ottime animazioni e ottima sceneggiatura richiamano a un terzo elemento importante: il cast. Nel lavoro sono coinvolti molti dei seiyū (il termine usato per vocal actor, diverso da doppiatore) tra i più popolari e talentuosi, a partire da Mamoru Miyano – voce al protagonista – seguito da Takahiro Sakurai, Kana Hanazawa, Daisuke Ono, Junichi Suwabe, Tomokazu Sugita, Yuuki Kaji… che sono solo alcuni degli artisti coinvolti e che facilmente identificano i personaggi, raccomandano la visione del film in lingua originale.
Il prossimo capitolo ha annunciato uno scontro tra Godzilla e MechaGodzilla, quest’ultimo è simbolo principe del trash nella cinematografia kaijū, soggetto pericoloso da maneggiare ma che sembra promettere qualcosa di davvero originale all’interno del franchise che, con questo film, ha già raggiunto il suo picco artistico (senza voler togliere nulla al Godzilla di Hideaki Anno). Speriamo solo che le idee e la qualità non vadano in discesa.