Australia, presente. Il detective di origine aborigena Jay Swan (Aaron Pedersen) viene incaricato di indagare sulla scomparsa di una giovane asiatica nella città mineraria di Goldstone. In una terra desertica dove ricchi caucasici in calzoncini color cachi spadroneggiano sotto lo sguardo ferito ed inerme di poveri aborigeni, Jay scopre un terribile segreto. Ad ostacolarlo nelle sue indagini, il giovane e inflessibile poliziotto locale Josh (Alex Russell), spinto dalla sindaca Maureen (Jacki Weaver) e dal direttore della miniera Furnace Creek (David Wenham).
Il talentuoso Ivan Sen, classe 1972, regista di origine indigena il cui nome è noto nei festival di Berlino, Cannes e Toronto, firma la regia di Goldstone – Dove i mondi si scontrano. Un’infanzia complessa, passata in compagnia di sua madre girovagando per l’Australia. L’adolescenza, trascorsa in una cittadina che non vedeva di buon occhio chi, come lui, non era WASP, lo avvicina alla fotografia.
I panni sporchi dell’Australia
Gli australiani sono comunemente associati ad un atteggiamento pacifico e accogliente. Chi ha visto almeno un episodio di Masterchef Australia lo sa bene. Sorridenti, spensierati e disponibili, vivono in armonia sulla loro isola felice formato extra large. Goldstone porta alla luce una situazione inedita per chi non conosce il lato oscuro di questo enorme paese. Dietro la facciata gentile, lontani dalle mete turistiche, fra un tè delle cinque e l’altro, i bianchi opprimono le comunità aborigene. Nascondono traffici di prostituzione e droga, abbattono canyon e mettono a tacere chiunque si trovi sulla loro strada.
I due protagonisti di questa storia, Jay e Josh, portano alla luce, loro malgrado, i segreti della comunità, e dovranno decidere se agire seguendo le istruzioni dei potenti o il loro senso di giustizia. Al genere poliziesco western di Breakingbaddiana memoria (o simile nelle ambientazioni al recente The Sister Brothers) si accosta la dimensione sociale, incarnata da una comunità aborigena disillusa e vessata e un gruppo di ragazze asiatiche rassegnatesi a un destino di umiliazione.
Mi hai rotto il ritmo!
Il film è sicuramente realizzato con le migliori intenzioni, ma dal punto di vista meramente cinematografico presenta più di qualche problema. Il ritmo narrativo è tutt’altro che incalzante, gli eventi prevedibili e i dialoghi già sentiti (che un personaggio usi ancora la battuta “niente di personale, sono solo affari” dopo che Nora Ephron attraverso la bocca di Meg Ryan in C’è posta per te l’ha demolita per sempre, è quanto meno agé). Inoltre i personaggi risultano poco più di funzioni, si muovono senza che le fasi fondamentali delle loro evoluzioni siano chiare. Josh cambia idea ma non espressione facciale; Jay ha un passato doloroso che emerge solo attraverso un racconto piuttosto forzato; Maureen, la villain della storia, esce di casa solo per corrompere la gente con torte alle mele.
Nonostante le finezze registiche e le interpretazioni convincenti, Goldstone – Dove i mondi si scontrano non convince appieno.
Un bilancio complesso
Ciò che salva Goldstone – Dove i mondi si scontrano sono le buone intenzioni e la denuncia di una situazione che in pochi conoscono fuori dai confini australiani. In quello che è una sorta di far west fuori tempo, si svolge un’avventura prevedibile ma che mette in luce una situazione inedita.
Il bilancio non è semplice, ma in questo caso si può chiudere un occhio di fronte ad alcune ingenuità narrative, per far salve le buone intenzioni. Goldstone – Dove i mondi si incontrano è un’operazione interessante, da vedere se si è appassionati del genere poliziesco. Ma anche se si vuole conoscere qualcosa di più del paese che ha tenuto segregato per anni, fra tanti, lo scrittore Behrouz Boochani insieme ad altri richiedenti asilo su un’isola in Papua Guinea.
Basta stringere per un po’ i denti quando arriva il momento di sentire che “non è niente di personale, sono solo affari”.