Siamo nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, a New York. Arturo Giammarresi (Pif), un italoamericano proveniente da Palermo, è innamorato di Flora (Miriam Leone), nipote del proprietario del ristorante per cui lavora come cameriere. L’impossibilità di sposare la bella Flora, promessa in sposa al figlio di un boss italoamericano, spingerà il giovane Arturo a intraprendere un viaggio per chiedere la mano dell’amata al padre rimasto in Sicilia.
Povero ma determinato, Arturo decide di arruolarsi con l’esercito degli Stati Uniti d’America che sta organizzando lo sbarco nell’isola. Con queste poche parole si può sintetizzare la trama del nuovo film di Pierfrancesco Diliberto In guerra per Amore. La storia d’amore è effettivamente soltanto un escamotage per parlare della Storia con la S maiuscola. Vera protagonista del film infatti è la mafia. L’editoriale nasce dalla necessità, per uno studente di Storia come me, di interagire con il messaggio del film. Sono consapevole che lo storico che fa le pulci al regista (cercando gli anacronismi) è una sorta di cliché, anche abbastanza noioso. Spero che il risultato di questo editoriale sia qualcosa di diverso.
Cifra stilistica e omaggi
Al suo secondo film, dopo l’inaspettato successo di La mafia uccide solo d’estate, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, insieme a Michele Astori e Marco Martani, torna a parlare della Sicilia. Non più la Palermo degli anni ’90, ma Crisafulli (città immaginaria che fonde insieme alcuni dei luoghi più suggestivi della Sicilia: la Scala dei Turchi di Realmonte, il borgo di Erice e le saline di Trapani) diventa lo scenario per una commedia che racconta la realtà italiana con particolare attenzione al potere mafioso. Il film che si pone, come abbiamo detto in continuità con il precedente, narra la le vicissitudini di un uomo, tutto preso dalle sue necessità, che scopre attraverso il contatto traumatico con la realtà, i suoi doveri civici.
Ancora una volta la voce narrante, diventata ormai una cifra stilistica dell’autore, guida lo spettatore e lo conduce alla morale finale. La voce fuori campo, che il regista ha trasportato dal piccolo al grande schermo, in questo film perde però incisività e risulta spesso invasiva e disturbante. Nel film c’è una buona attenzione per le ricostruzioni d’ambiente, le luci e i costumi. La fotografia, complice una bellissima Sicilia, risulta incantevole. Ma l’autore si perde in una serie di riferimenti cinematografici lontani e fallisce nel tentativo di creare un prodotto equilibrato e fluido. Il film è pieno di omaggi italiani ed esteri. In particolare, come già per il primo film, Forrest Gump (1994) è un chiaro riferimento, d’altronde la scena finale sulla panchina non può non far pensare al film di Robert Zemeckis. Ulteriore riferimento è sicuramente La vita è bella (1997). Ulteriore riferimento è sicuramente La vita è bella (1997). La sequenza in cui il giovane protagonista riesce a salvare i due emarginati del paese, lo zoppo e il cieco (che ricordano molto Franco e Ciccio), attraverso un’improvvisata traduzione, ricorda la sequenza in cui Guido mette in scena una fantasiosa traduzione dal tedesco all’italiano per non far svanire nel figlio l’illusione del gioco. Interessante è anche la riproposizione della famosa foto di Robert Capa, in cui un contadino siciliano indica ad un giovane americano la direzione presa dai tedeschi. Per confessione dello stesso Pif il film si ispira all’opera di Comencini Tutti a casa (1960) di cui però non riesce a recuperare la complessità e la qualità.
Inoltre l’opera è dedicata ad Ettore Scola, regista italiano scomparso il 19 gennaio del corrente anno, un’iniziativa encomiabile, ma controproducente in quanto invita lo spettatore a paragonare la scrittura elegante e sottile di un grande maestro del nostro cinema con quella di questo film, che è lontana anni luce da quelle vette.
Pif in cattedra
Veniamo al nocciolo dell’analisi. Il film sembra essere costruito tutto in funzione del finale, dove il “realismo magico” (chiedo scusa ad autori come Marquez, Borges e Calvino) cede il posto alla serietà dell’inchiesta e della denuncia. Pif sale in cattedra e ci fornisce una lezione di Storia. La sua tesi è che lo sbarco in Sicilia sia un momento epocale per l’isola e per l’Italia tutta (“La Sicilia come metafora”, mi perdoni anche Leonardo Sciascia). Cosa sarebbe successo secondo il regista? Gli americani si sarebbero accordati con i mafiosi per facilitare lo sbarco nelle coste italiane e per governare l’isola.
Il film si apre con l’accordo tra le forze armate americane e Lucky Luciano, che si trovava in carcere. Prosegue mostrando i soldati americani che, una volta sbarcati, non hanno bisogno di combattere perché i mafiosi aprono loro le porte delle città. Si conclude con la nomina dei capi mafia a sindaci delle loro città. Prima dei titoli di coda compare infine il documento su cui si basa quest’analisi: il “Rapporto Scotten”.
Lucky Luciano
Nel film il trait d’union tra gli Stati Uniti e l’Italia è, come abbiamo già accennato, Lucky Luciano. Nato a Lercara Friddi, un paesino vicino Palermo, e diventato ricco grazie al proibizionismo, quest’ultimo è stato considerato la chiave della conquista della Sicilia non soltanto da Pif. Già il libro di Michele Pantaleone Mafia e politica (1962) proponeva una versione fantasiosa dell’operazione Husky in cui la mafia sarebbe stata contattata mediante il lancio di un foulard di nylon giallo in cui giganteggiava la L di Lucky Luciano. In America il possibile intervento di Luciano nello sbarco era già emerso durante le indagini della Commissione Kefauver, commissione parlamentare che aveva il compito di indagare sul crimine organizzato.
Dove sbaglia Pif? A prescindere dalle ovvie considerazioni sulle capacità belliche dell’esercito americano, che sicuramente non aveva bisogno dell’appoggio mafioso per conquistare l’isola, storici come Salvatore Lupo, Francesco Renda, Paolo Pezzino hanno tutti considerato infondata l’opzione del Pactum sceleris. Le parole di Manoela Patti, autrice del libro La Sicilia e gli Alleati (2013), ci possono essere d’aiuto: “Non è qui il caso di ricostruire l’intera vicenda della presunta collaborazione di Luciano, che comunque negò sempre di avere contatti di qualche genere in Sicilia e di avere avuto un ruolo nello sbarco. Del resto, il boss italo-americano, aveva lasciato l’isola da bambino e il suo contributo allo sforzo bellico americano è più probabilmente riferibile all’azione nel porto di New York.” Lucky Luciano effettivamente sembrerebbe la persona meno adeguata per il compito prefissato, aveva infatti lasciato l’isola in giovane età ed era uno dei gangster italoamericani meno legati all’isola, nonostante la disapprovazione degli altri boss, per esempio, tra i suoi partner criminali avevano un ruolo importante esponenti della comunità ebraica e irlandese.
Riguardo invece l’accordo per la sicurezza del porto di New York, Salvatore Lupo scrive nella voce Mafia dell’Enciclopedia Treccani: “Due aspetti vanno dunque distinti: quello – provato – dell’accordo su New York e quello – possibile – di una collaborazione sulle questioni siciliane. Ammettere questa seconda eventualità non significa però che siano legittime tutte le conseguenze che ne sono state tratte, in particolare in relazione a una fantomatica collaborazione della mafia alle operazioni militari.”
Il rapporto Scotten
Il documento del 29 ottobre 1943, è un resoconto del capitano americano W. E. Scotten destinato al generale Julius Holmes, che risiedeva a Palermo. Il resoconto intitolato Il problema della mafia in Sicilia analizza la situazione dell’isola a tre mesi dallo sbarco. Scotten scrive: “La mafia ha conosciuto un’ampia rinascita. La questione è difficile da affrontare. Una volta attecchito, il problema si moltiplicherà all’infinito, creando difficoltà alle forze di polizia”. E poi proponeva tre possibili soluzioni: “Un’azione diretta, stringente e immediata, per controllare la mafia; una tregua negoziata con i capi mafia; l’abbandono di ogni tentativo di controllare la mafia in tutta l’isola”.
Cosa ci dice il documento in questione? Moltissimo, ma quasi nulla riguardo il famoso Pactum sceleris. Riguardo alla rinascita della mafia, Salvatore Lupo nel libro intervista, con Gaetano Savatteri, Potere criminale: Intervista sulla storia della mafia, scrive: “Si ma è la straordinaria congiuntura storica a rappresentare di per se stessa una straordinaria occasione. C’è la dissoluzione dello Stato oltre che del regime. C’è il separatismo, l’unico movimento politico in cui la mafia si sia identificata pienamente, attivamente, in maniera non strumentale. Tutta questa complessità non può essere ridotta alla dimensione del complotto, e a maggior ragione del complotto straniero”. La posizione degli alleati nei confronti della mafia è d’altronde molto complesso, le tre opzioni di Scotten, dimostrano chiaramente la mancanza di piano specifico (dunque da escludere pure il famoso patto tra gli Stati Uniti e Lucky Luciano). Altre fonti inoltre mostrano come, in determinati casi, le forze anglo-americane abbiano agito direttamente per combattere i fenomeni criminali.
Un articolo del New York Times intitolato Mafia Chiefs Caught by Allies in Sicily parla, ad esempio, dell’azione contro le cosche mafiose che controllavano il mercato nero nell’isola. Ovviamente non va dimenticato che gli Americani, con il destino del mondo ancora appeso ad un filo, non avevano né le possibilità né le energie per intraprendere uno scontro frontale con la criminalità organizzata. Dunque il problema non poteva che essere rimandato. Qui non c’è, per ovvie ragioni, lo spazio per un’analisi approfondita e consiglio dunque la lettura dei testi citati a chi vuole capire meglio queste dinamiche. Dirigendoci verso il finale dell’editoriale, possiamo affermare che Pif non ha nessuna voglia di analizzare la complessità e le contraddizioni che caratterizzano un evento storico. Tutto il film risulta sbilanciato nel tentativo di dimostrare la sua tesi preconcetta, con risultati inevitabilmente deludenti. Restano le immagini di una bellissima Sicilia, a fare da sfondo al film, ma questa è un’altra storia.