La filosofia e la fantascienza sembrano il connubio perfetto. Quando l’uomo alza gli occhi al cielo, è inevitabile chiedersi perché sia al mondo, dove va, fin dove può arrivare. Da quando Stanley Kubrick nel 1968 ha alzato l’asticella del genere dove l’occhio umano non sembrava poter giungere, innumerevoli autori si sono cimentati nell’esplorazione della complessità dello spazio e dell’animo umano. Da Tarkovskij a Nolan, a Villeneuve, a Scott, a Kieslowski, a Cuarón, a Spielberg, alle sorelle Wachowski, a Garland, in tanti, con risultati più o meno riusciti, hanno cercato un nuovo punto di vista sulla vita e sul cinema.
High Life di Claire Denis, realizzato dalla casa di produzione cult A24, sembra avere la stessa aspirazione.
L’epopea di Monte, interpretato brillantemente da Robert Pattinson, (che presto vedremo in The Batman) ha molti tratti in comune con gli eroi spaziali venuti prima di lui.
Paternità spaziale
Ultimo sopravvissuto di una colonia spaziale abitata da reietti e galeotti, Monte vive con la figlia neonata Willow in una navicella spaziale in lento ma costante avvicinamento ad un buco nero. L’obiettivo della missione è studiare l’interno per capire se l’immensa energia al suo interno possa essere utile in qualche modo sulla terra. L’obiettivo secondario della missione è sbarazzarsi delle personae non gratae della società.
Forze della natura alla deriva
Dopo un prologo sulla vita quotidiana di Monte insieme a Willow, un lungo flashback racconta dove sia finito il resto dell’equipaggio e come sia nata la bambina. Si fa la conoscenza in particolare di Boyse, ben interpretata da Mia Goth, una irrequieta e violenta tossicodipendente e di Dibs (Juliette Binoche), una dottoressa infanticida ossessionata dalla procreazione ma impossibilitata ad avere figli. Conduce studi sulla fertilità nello spazio, facendosi portatrice di un modello di sensualità forzata, ossessiva, talvolta funerea.
Si tratta del personaggio cardine dell’azione, una femme fatale pericolosa e calcolatrice, senza scrupoli e affetto ma determinata. Boyse è esattamente il suo opposto: priva di un obiettivo e colma di rabbia, si muove all’interno dell’astronave/prigione come se desiderasse distruggerla con tutti coloro che sono al suo interno, se stessa compresa.
Connessione persa
Il resto dell’equipaggio, compreso Monte, sembra subire la presenza di queste due forti personalità per la maggior parte del tempo. Fra di loro si creano fugaci complicità piuttosto che sentimenti di vero affetto. Non entrano in contatto in maniera davvero profonda, ma si abituano alla presenta gli uni degli altri. Gli episodi si susseguono senza la possibilità di capire a fondo i loro perché e le loro ferite, ma di intuirli da spiegazioni e allusioni, come se fossero dead men walking.
La distanza fra i personaggi e dai personaggi è una delle caratteristiche principali di questo film, ma anche uno dei suoi difetti: non si entra in empatia né in contatto con loro. Inoltre Monte, punto di vista del film per la maggior parte del tempo, è una figura poco attiva e difficile da interpretare, nonostante la bravura di Pattinson nel dargli carattere e anima, specialmente nelle parti col la neonata Willow.
Questo e un ritmo poco sostenuto, rendono High Life un film fuori dagli schemi ma anche difficile da digerire.
Connessione ristabilita
Dall’altro lato, si assiste all’opera di una regista di lunga esperienza, assistente sul set di registi del calibro di Jarmusch e Wenders, visivamente intuitiva e cinematograficamente acculturata. High Life non è un film indimenticabile per ciò che racconta, ma è sicuramente un’ottima prova concettuale, attoriale e visiva, nonché la riprova del fatto che lo spazio possa essere al contempo filosofico, politico e contemplativo.
Si tratta sicuramente di un’opera interessante per gli appassionati duri e puri e per gli addetti ai lavori, anche se non è certo un film da vedere il sabato sera con gli amici prima di giocare a Risiko. La sua esistenza però testimonia la presenza e la necessità di una ricerca continua, portata avanti da persone che sanno alzare gli occhi al cielo e guardare oltre il multisala più vicino.