Se il 2020 sembra l’anno del cinema orientale grazie al poker di Oscar portato a casa da Bong Joon-Ho con il suo perturbante Parasite, interessanti novità arrivano anche dalla Cina. Il lago delle oche selvatiche del regista Diao Yinan, infatti, si è fatto notare allo scorso Festival di Cannes, competendo per la Palma d’oro. Il film, il cui titolo originale si traduce con un più appropriato Appuntamento alla stazione sud, si addentra nei meandri della periferia cinese, nel mondo notturno dei gangster, sulle poetiche rive del lago, dimostrandosi un thriller teso e discontinuo.
Era una notte buia e tempestosa
Il più famoso degli incipit sarebbe adatto anche a questa storia. Tra il battere della pioggia e lo sferragliare dei treni, in un posto appartato alla stazione della tristemente nota città di Whuan, si incontrano i protagonisti della vicenda. Un uomo, un criminale di nome Zhou Zenong (Hu Ge) e una donna, una prostituta di nome Liu Aiai (Gwei Lun-mei), destinata a restare deliziosamente ambigua fino all’ultimo istante del film. Sono loro a svelare gli eventi, intrecciando i rispettivi racconti attorno alla rocambolesca corsa contro la polizia e i malviventi che vogliono Zhou morto per incassare la ricompensa che pende sulla sua testa. Nient’altro di prevedibile può imputarsi però a questo film, una riuscita mescolanza di generi e registri, capace di bellezza, violenza e satira altrettanto feroce.
Ombre cinesi
Diao Yinan realizza un lungometraggio intrigante, sia per i continui ribaltamenti della trama, sia- soprattutto- dal punto di vista visivo. Il regista gioca con le ombre, stagliandole dietro tendoni, teli di plastica e ombrelli, disegna con l’oscurità che usa insieme ad abbondante neon. L’effetto risulta estremamente affascinante, ma le scene sotto il sole freddo e squallido della periferia e le pennellate nitide e pulite con cui è ritratta la riva del lago sono altrettanto ben realizzate. Le variazioni di luce, ritmo e stile si susseguono per tutto il film. La narrazione si dilata per il lungo attimo di uno sguardo, indugia sui dettagli che riempiono l’inquadratura, si concede malinconici lirismi sulla spiaggia puntellata di cappellini bianchi, per passare a brusche sparatorie, inseguimenti al cardiopalma e sprazzi di brutale violenza. Inaspettatamente irrompono sulla scena sangue e morte, con alcuni picchi splatter ben congegnati, e persino momenti surrealisti e a tratti, con tutte le infinite cautele del caso, felliniani e stranianti, come l’incontro della testa canterina di una ragazza del circo o la scena nello zoo. Diao Yinan riesce a gestire action, noir, assurdo e Nouvelle Vague mantenendo la sua precisa impronta stilistica, senza perdersi mai. Un plauso merita la fotografia di Dong Jinsong.
Il Lago delle oche selvatiche fra thriller e denuncia
Il lago delle oche selvatiche narra di una città che sembra andare alla deriva, sulla spinta modernizzazione in cui niente funziona come dovrebbe. Le bande criminali si prendono le strade senza difficoltà, riunendosi persino in assemblea, i poliziotti sono incapaci e anche un posto pacifico come il lago è pullulante di trafficanti di sesso nascosti tra i bagnanti. Disordine e disorientamento celano microcosmi corrotti e segreti e l’ambiguità attraversa tutta la pellicola fino al sorprendente finale, che di nuovo spiazza per la pacata dolcezza, il non detto che corre negli accennati sorrisi in chiusura. E questo disorientamento permea una vicenda in cui niente è come sembra di un’atmosfera onirica e destabilizzante, in cui l’eroe è un capobanda, un re al centro di intrighi e tradimenti. Bravissimi gli attori protagonisti, soprattutto Gwe Lun-mei, che incarna alla perfezione un personaggio all’apparenza fragile ma essenziale, volitivo e disturbante, che sembra quasi dotato di virtù magiche per come scivola indenne da una situazione all’altra senza farsi imbrigliare dalle fila di complotti e voltafaccia. Diao Yinan maneggia con abilità la macchina da presa, padroneggia campi di qualunque lunghezza, mescola le scene compassate ed esasperanti insieme a quelle tese e frenetiche con disinvoltura. Il risultato è un film davvero interessante, che avvince, turba e affascina.