Dopo il successo de Il Cittadino Illustre, Coppa Volpi alla 73esima Mostra del Cinema Di Venezia, Mariano Cohn e Gaston Duprat tornano sul grande schermo con Il Mio Capolavoro (Mi Obra Maestra) rispettivamente come produttore e regista. Esilarante e a tratti commovente, la commedia indaga l’atto creativo, il concetto di artista e la profondità dell’amicizia che non ha paura di concepire un’ardita truffa nel mercato dell’arte. Il film è stato presentato quest’anno al Festival di Venezia fuori concorso.
A Buenos Aires può succedere di tutto
Arturo Silva (Guillermo Francella) è un raffinato e sofisticato gallerista di Buenos Aires. Sua la voce narrante che dà inizio al flashback in cui consiste la storia, sua la confessione che imprime una sfumatura noir alla commedia: Arturo infatti si dichiara immediatamente un assassino. L’uomo condivide l’amicizia di una vita con Renzo Nervi (Luis Brandolini), pittore geniale, asociale e indigente, ormai agli sgoccioli della sua carriera. Diplomatico e astuto l’uno quanto dissacrante e sfrontato l’altro, la coppia di vecchi amici affronterà la vita tra discussioni e peripezie fino alla svolta decisiva. Imprevisti e gag divertenti rendono scorrevole un film che sa sfiorare con pathos e senza drammi le più complesse questioni della vita e dell’arte. Tutto questo è reso possibile dalla sceneggiatura brillante e leggera firmata da Andrés Duprat e dalla congerie di personaggi tipizzati e sopra le righe che ruota attorno ai protagonisti, come l’incorruttibile Alex (Raùl Arévalo), la venale impresaria Dudù (Andrea Frigerio) e l’universitaria dalle velleità artistiche Laura (Maria Soldi). Il variopinto mosaico volutamente stereotipato smaschera con un sorriso le contraddizioni e le ossessioni della società moderna, sullo sfondo di una scenografia a tratti pittorica, esaltata dalla fotografia romantica di Rodrigo Pulpiero, intimista in città con primi piani e campi corti, riflessivo e poetico con i paesaggi suggestivi dell’America Latina.
Amicizia, morte e arte
Il corpo principale dell’opera è tutto dedicato alla satira. Nel mirino di Duprat si affaccia il mercato dell’arte contemporanea, o meglio il mercato in cui di effettivamente artistico è rimasto poco, ormai travolto da mode e critici allineati al trend, come investitori finanziari alla ricerca di qualcosa da monetizzare e dichiarare geniale, che sia un mucchio di vestiti o oggetti affissi alle pareti. L’invettiva è feroce e dalle mostre prende spunto per investire tutti gli aspetti dell’esistenza ai tempi del consumismo, ma è leggera, facile, perché affidata ai battibecchi tutti da ridere tra Renzo e Arturo, incarnati da due interpreti in stato di grazia. Ed è soprattutto sulla grandezza di Francella e Brandolini che il film riesce a reggere anche nei momenti di stanchezza che investono la parte centrale della narrazione, che circa a metà film subisce un notevole rallentamento. Qui la sceneggiatura assume più i tratti di un susseguirsi di sketch dolce-amari fino alla brusca virata della trama e alla successiva ripresa. Questo e un forse troppo sfacciato product placement costituiscono le principali pecche de Il Mio Capolavoro, che per il resto diverte ed emoziona con naturalezza e una semplicità che probabilmente non impressionerà chi è in cerca di grandi turbamenti, ma che funziona perfettamente come puro intrattenimento, collocato nelle zone grigie della moralità (e del penalmente lecito). Ad essere celebrata è invece l’amicizia, tra alti e bassi, divergenze di opinioni e minacce di rottura, che resiste ai cambiamenti della vita.
Il Mio Capolavoro non è un’opera complessa e non vuole esserlo
Oscar Wilde ha detto che gli eletti sono coloro per i quali le cose belle significano soltanto bellezza. E questo è un consiglio utile per approcciarsi non solo a un’opera d’arte ma anche al film. Suggerimento che viene dalle stesse parole di Arturo proprio all’inizio del racconto, mentre la telecamera ci spinge fin dentro le fibre della tela, sulle mani nude di Renzo che spargono colore proponendosi come l’immagine più viscerale dell’atto creativo. Un invito a lasciarci alle spalle gli schemi connaturati al nostro pensiero e abbracciare l’esperienza come proposta dai sensi; un avvertimento a prepararsi a quanto accadrà, perché “l’arte può creare la propria realtà”, ed è quanto riesce a fare Arturo rendendo le circostanze di fatto gli strumenti per realizzare il proprio capolavoro di carne e di ossa. Senza fronzoli, pungente e diretto, dai dialoghi brillanti, situazioni esilaranti al limite dell’inverosimile, i 100 minuti de Il Mio Capolavoro scorrono veloci e regalano un intrattenimento piacevole e di qualità.