Difficile togliersi di dosso determinate etichette nel mondo del cinema quando si dedica interamente la propria carriera a un genere o uno stile, sollevando quindi dubbi ma anche curiosità nel caso invece si voglia sperimentare in altri modi. È il caso di Eli Roth, regista del New England conosciuto per i suoi film horror (Hostel, The Green Inferno) parecchio hardcore e invece qui alla Festa del Cinema di Roma venuto per presentare in anteprima italiana Il Mistero della Casa del Tempo (The House with a Clock in its Walls), una produzione dai toni leggeri e magici, pensata per i ragazzi.
Il Mistero della Casa del Tempo è infatti un film che avrebbe potuto benissimo appartenere a un’altra epoca, qualcosa che ci ha ricordato le serate passate su Italia Uno in compagnia di film come Casper o Jumanji, con la differenza magari di sfoggiare un cast di livello più elevato e una qualità della fotografia e delle scenografie decisamente migliore. In maniera curiosa, il film è basato su un libro di 45 anni fa, La Pendola Magica di John Bellairs, primo capitolo di una serie di dodici opere dedicate a Lewis Barnavelt, protagonista anche della pellicola di cui vi scriviamo oggi.
Una casa davvero bizzarra
Ma passiamo alla storia: Lewis Barnavelt è appena diventato orfano, avendo perso entrambi i genitori in un incidente stradale. Devastato dalla notizia, si trasferisce nella ridente città di New Zebedee nel Michigan, nella quale abita il suo misterioso zio Jonathan (interpretato da Jack Black). Il primo impatto con la nuova realtà non è dei più semplici: a scuola Lewis non riesce ad adattarsi, anche a causa del suo carattere originale e riservato, mentre la gigantesca casa dello zio non riesce a convincerlo del tutto. In tante occasioni infatti qualcosa non quadra. Si sentono rumori inquietanti durante la notte, ci sono tanti oggetti strani e Lewis potrebbe scommettere che quella vetrofania sulla rampa di scale si sia mossa la sera prima…
Questo è solo l’incipit della storia de Il Mistero della Casa del Tempo, la quale vede Lewis intraprendere un viaggio nel mondo della magia – aiutato dallo zio e dalla sua amica Florence Zimmermann (magistralmente interpretata da una sempre regale Cate Blanchett, tra l’altro ospite d’onore della Festa del Cinema capitolina) – per imparare i fondamenti dell’essere uno stregone e, allo stesso tempo, crescere e dimenticare la recente tragedia. Il Mistero della Casa del Tempo offre un intreccio semplice ma ben scritto, sorretto da prestazioni attoriali di primo livello per non solo i due già citati mostri sacri di Hollywood ma anche del piccolo Owen Vaccaro e del resto del supporting cast, incluso il Kyle MacLachlan già noto ovviamente per Twin Peaks.
Carino, ma manca qualcosa
A convincerci del tutto sono stati anche costumi e scenografie, dalle quali, nonostante il tono della pellicola sia certo leggero, si evince il passato del regista, evidente in un paio di fondali e dettagli abbastanza inquietanti. Il film riesce anche a regalare qualche risata, ma proprio tornando a citare la cinematografia fantastica degli anni ’80 e ’90 non riesce, come nella maggior parte di quelle produzioni, a colpire un’utenza anche adulta oltre al suo target ben specifico di bambini e pre-adolescenti. Le gag, la trama, i personaggi, sono tutti caratterizzati in una maniera precisa per avere appeal su un pubblico di questo genere e fin qui niente di male: da bambini lo avremmo adorato e ci saremmo assolutamente identificati nel piccolo Lewis.
Detto questo, nel 2018, specialmente partecipando a un festival di cinema come questo di Roma, potevamo aspettarci quel “quid” in più da Il Mistero della Casa del Tempo per essere fruibile da una audience più ampia.
È difficile infatti specificare cosa sia appunto questo “quid”, ma possiamo fare l’esempio dei film d’animazione Pixar come il recente Gli Incredibili 2 o Alla Ricerca di Dory: è chiaro che le produzioni della casa fondata dal compianto Steve Jobs siano girate con in mente i più piccoli, ma la qualità delle storie, delle battute e dei mondi nei quali sono ambientati li rendono assolutamente adatti a tutti, andando spesso a rivaleggiare con lungometraggi di apparente maggior spessore. Tutto questo non riesce all’opera di Eli Roth, troppo semplicistica e lineare nelle sue tematiche per rimanere nei nostri pensieri per più della comunque piacevole ora e mezza passata in sua compagnia nel cinema.