Nants ingonyama bagithi, Baba
Ecco qui un leone, Padre. Da grande fan Disney quale sono, cresciuta a colpi di pappine e film di animazione del noto marchio, non avrei potuto scegliere alcun esordio migliore per la mia recensione. E questo perché fra i bambini, così come fra gli adulti, esistono due soli tipi di persone: chi, leggendo le fantomatiche parole in lingua zulu de Il Cerchio della Vita, comincia a cantare a squarciagola, senza ritegno, stravolgendo probabilmente il 90% del testo originale, e chi mente spudoratamente.
Ricordiamo che, in principio, tale colonna sonora fu interpretata dall’attrice Carmen Twillie, mentre Ivana Spagna prestò la sua voce per la traccia italiana. Le versioni del remake 2019, comunque, non sono da meno in quanto a bellezza, date le indiscutibili doti canore di Cheryl Porter e Lindiwe Mkhize.
Il film, scritto da Jeff Nathanson e diretto da Jon Favreau, uscirà il 21 agosto 2019 nei cinema italiani e sarà presto disponibile sul servizio streaming Disney+ assieme a Toy Story 4, Frozen II – Il segreto di Arendelle e Captain Marvel. Se, comunque, non avete avuto modo di visionarne il trailer, premete qui.
E proprio Jon Favreau, nell’arco di questi ultimi mesi, è stato spesso posto sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Già regista de ll libro della giungla (2016), Favreau è stato insignito dalla Disney proprio per la sua grande abilità nel caratterizzare in maniera estremamente realistica – a tratti grottesca – i suoi personaggi, generando pathos ed emozioni spesso contrastanti nel fruitore. Non a caso, per perseguire questo suo intento, sono stati scelti, come doppiatori, alcuni dei migliori interpreti del panorama hollywoodiano: Donald Glover nei panni Simba, Beyoncé come Nala, James Earl Jones come Mufasa (ne era la voce anche nel film di animazione del 1994), Chiwetel Ejiofor nei panni di Scar, Seth Rogen come Pumbaa, Billy Eichner come Timon, John Oliver come Zazu e John Kani come Rafiki.
Simba e i conti con il suo destino: ricorda chi sei!
Nel mezzo della Terra del Branco, permeata da un’atmosfera di amletica e shakespeariana memoria, si celebra la nascita di Simba, figlio di Mufasa e Sarabi, nonché futuro erede del regno. Questo il movente che spingerà l’avido zio Scar a perpetuare la sua vendetta: uccidere Mufasa, esiliare Simba e governare indisturbato dall’alto della Rupe dei Re. Il cucciolo di leone, salvato da Timon e Pumbaa, sopravviverà con il loro aiuto alla natura selvaggia ed incontaminata della savana africana, nutrendosi prevalentemente di insetti e trastullandosi sulle note della celeberrima evergreen Hakuna Matata. Ma l’inaspettato arrivo di Nala spingerà il giovane Simba a riflettere su quale sia il suo re(g)ale destino nel grande cerchio della vita.
In questo travagliato percorso di autoanalisi e presa di consapevolezza, il promesso Re dovrà imparare a fare i conti con il proprio passato e ad affrontare i pesanti sensi di colpa che questo trascina con sé. Quando ogni cosa sembra perduta e le fiamme divampano in ogni dove, Simba dimostra di essere degno erede di suo padre, assumendosi le giuste responsabilità nei confronti di se stesso, della sua coscienza e del suo branco d’origine. Il nemico viene sconfitto e una pioggia catartica ripulisce la Terra del Branco dall’onta di Scar e del suo esercito di iene fameliche.
Grandi aspettative dal Re
Da quello che si è visto, è chiaro come, per il 25° anniversario del film di animazione del ’94, la Disney voglia evocare le stesse emozioni di un’epoca che – con grande nostalgia – fu, puntando agli spettatori ormai divenuti adulti.
Il grande punto di forza del remake è, indubbiamente, la capacità di suscitare nello spettatore ogni sentimento di sorta al momento opportuno, indice di una sceneggiatura tutt’altro che farraginosa. In altre parole, le ambientazioni e la caratterizzazione dei personaggi rendono bene l’dea di quali siano le reali intenzioni degli sceneggiatori: dalla tenerezza nel vedere un Simba appena nato ancora fra le zampe protettive di sua madre, si passa alla commozione per la morte di Mufasa, al senso di rivalsa nei confronti dei soprusi perpetuati da Scar, al timore suscitato dalle iene assetate di sangue, alle fragorose risate destate dagli intramontabili e simpaticissimi Timon e Pumbaa. Proprio in relazione a quest’ultimi, mi permetto di citare una scena in cui si farà riferimento alla canzone Stia con noi de La Bella e la Bestia, momento tanto esilarante da suscitare l’ilarità della platea tutta: da solo varrà il prezzo dell’intero biglietto. Promesso!
Le scene dell’originale sono ricalcate fedelmente, passo dopo passo, e rivisitate in chiave realistica grazie all’ausilio di tecnologie estremamente sofisticate. Favreau stesso annunciò che le tecniche cinematografiche usate ne Il Re Leone sarebbero state adoperate, questa volta, in misura ancora più preponderante che ne Il Libro della Giungla. Sicuramente, dai tempi del leone Aslan de Le Cronache di Narnia, si è fatto qualche passo avanti.
Certo è che il fotorealismo ad animazione computerizzata pone dei limiti tutt’altro che trascurabili anche per gli avanzati mezzi disponibili al giorno d’oggi. Bisogna tener conto che questa tecnica sacrifica molto l’espressività facciale, la vitalità e la spontaneità dei personaggi a favore di un realismo forse inutile, artificioso e a tratti sopravvalutato. È indubbio che questo remake non renda quanto la trasposizione animata del ’94, benché gli occhi dei personaggi siano estremamente comunicativi: grandi e languidi quelli di Simba e Nala, fieri quelli di Mufasa e Sarabi, feroci quelli delle iene e spietati quelli di Scar. Peccato gran parte dell’espressività si riduca a giochi di sguardi, fauci sguainate e ruggiti. La semplicità e la vivacità delle immagini disegnate a mano un po’ mancano, in effetti.
Scar: un cattivo con la C maiuscola
Se sull’espressività si sarebbe potuto fare qualcosina in più, altrettanto non si può affermare di Scar. Un super cattivo finalmente ben stilizzato, in grado di incutere timore e senso di minaccia al punto giusto. Una qualità che sembrava essersi persa, date le performances poco convincenti di Jafar nel remake di Aladdin di poche settimana fa, di Gaston ne la Bella e la Bestia o di Malefica in Maleficent, resa forse una fatina troppo innocua per la sua indicibile crudeltà (condannare a morte una bimba in fasce solo perché non invitata ad una festa: what an epic evil!).
Scar sviluppa per Simba, infatti, un odio lucido e morboso, tanto da portare la sua mente contorta ad escogitare qualunque piano immaginabile pur di uccidere lui e Mufasa ed incoronarsi finalmente re. Non a caso, in questa trasposizione de Il Re Leone, Scar assomiglia moltissimo alla tigre Shere Khan de Il Libro della Giungla di Favreau, ancor di più a quella del film Mowgli – il Figlio della Giungla di Andy Serkis, sia nei movimenti che nella psicologia furtiva, spregiudicata e spietata.
Un ottimo cast made in Italy
Contrariamente a tutti i pronostici negativi, Marco Mengoni, nelle vesti di Simba, ed Elisa, alias Nala, si sono rivelati egregi doppiatori ed interpreti di una delle più belle canzoni dell’intero film (L’amore è nell’aria stasera), tanto da superare a pieni voti il confronto con la versione anglofona di Beyoncé e Donald Glover. Can You Feel The Love Tonight fu scritta nel 1994 da Elton John e vinse il premio Oscar l’anno seguente. Elisa e Marco Mengoni erano presenti, quest’oggi, all’anteprima del film al Teatro Moderno di Roma e hanno preso parte ad una divertente e per nulla scontata conferenza stampa. Qui l’editoriale accurato della nostra intervista.
Altrettanto validi sono stati i doppiaggi di Stefano Fresi nei panni Pumbaa, Edoardo Leo come Timon, Emiliano Coltorti come Zazu e Massimo Popolizio (già conosciuto al grande pubblico per aver prestato la sua voce al nientepopodimeno Lord Voldemort di Harry Potter) nelle vesti di Scar.