Immaginate di aver impiegato la vostra intera vita a inseguire il successo. Immaginate di averlo raggiunto, di avere attinto a piene mani alle dolcezze del potere, di essere pronti a compiere un salto, l’ultimo, quello della consacrazione definitiva nel circolo dei pesci grossi, dei veri squali. Immaginate che tutto questo vi venga portato via il tempo di un servizio giornalistico sulla tv nazionale. Questo è ciò che succede a Manuel Lopez Vidal, protagonista di Il Regno (El Reino), ultima fatica del regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen, dal 5 settembre nelle sale italiane. Presentato alla 66sima edizione del Festival di San Sebastiàn, vincitore di 7 Premi Goya, il film mette a nudo gli sporchi e pericolosi giochi di potere di un fittizio partito politico, nelle vesti di un thriller teso e adrenalinico in cui abbondano i colpi di scena.
La pericolosa parabola di un inarrestabile protagonista
Nel 2007 Manuel Lopez Vidal, un intenso Antonio de la Torre, è un vicesegretario regionale pronto ad approdare ai vertici nazionali del partito. Amato dalla direzione, rispettato da tutti i colleghi, la sua corsa verso il successo viene bruscamente interrotta da un’inchiesta giornalistica e la conseguente indagine della procura sulle malefatte del partito, che non esita a fare di Manuel un capro espiatorio per l’opinione pubblica. Per salvare la propria carriera, o almeno trascinare con sé i corresponsabili al banco degli imputati, il vicesegretario caduto in disgrazia decide di ricattare la direzione minacciando di svelare i dettagli di una misteriosa vicenda, una scelta che lo porterà a mettere a rischio la sua stessa vita. La determinazione di Manuel dà inizio a una vera e propria partita senza esclusione di colpi in cui la posta in gioco si fa altissima. Tradimenti, astuzie, inseguimenti al cardiopalma e l’interpretazione di de la Torre conferiscono alla narrazione un ritmo serrato, che non si allenta per tutta la durata del film. Sfrontata ricchezza e sordidi segreti si intrecciano tra palazzi del potere, camere blindate e misteriosi file in un thriller che non si fa mancare nessuno degli elementi tipici del genere.
Champagne e gamberoni: la politica che mangia
La critica di Sorogoyen nei confronti del mondo politico è feroce e quasi caricaturale nel rappresentare i modi gretti e grotteschi dei suoi esponenti. Non a caso la prima scena del film mostra la combriccola di corrotti riunita attorno a un tavolo a mangiare avidamente – qualcuno anche più degli altri – al rientro dalle vacanze in yacht. Senza sapere se anche i cugini spagnoli associano il malcostume tradizionalmente attribuito alla disonesta classe dirigente al gesto di mangiare, la metafora è perfetta. Imitazioni, risate sguaiate e riprese con cellulari di ultima generazione usati nella piena incoscienza dei rischi per la fedina penale, ci fanno apparire i politici come patetici scimmioni arraffa denaro che allungano le mani volgari in ogni tipo di malaffare, mandandolo giù tra un sorso di vino doc e gamberoni. Il Regno cui fa riferimento il titolo del film è proprio questo, una corte di faccendieri egoisti, pronti a vendere il compagno di poltrona e a difendere con ogni mezzo il proprio status di privilegiati senza meriti, che divorano tutto e vogliono sempre di più. Il regista dipinge attorno al protagonista perfette maschere della meschinità umana, dai patetici bambocci impauriti dei piani bassi fino ai glaciali e minacciosi dirigenti.
Il Regno: uno spaccato sociale e un thriller riuscito
Il Regno riesce in entrambi gli intenti prefissati. Un thriller avvincente, in cui vediamo battersi fino allo stremo delle forze un non eroe, che agisce non per scrupoli di coscienza ma solo per salvare se stesso. Il meritatamente premiato Antonio de la Torre riesce a trasmetterci la propria fatica attraverso un’interpretazione fisica, sofferta e viscerale. Il suo lavoro è esaltato da un sonoro snervante e dalla mobilità delle inquadrature, dalla lunghezza delle scene che sublimano la tensione ai massimi livelli. Il regista ha sapientemente messo a punto un’opera che non ha nulla da invidiare alle produzioni hollywoodiane più apprezzate del genere. Allo stesso tempo Il Regno si presenta come un efficace ritratto della corruzione dilagante, degli scandali che sono scoppiati da ogni parte e a ogni livello amministrativo, del degrado che il regista e la co-sceneggiatrice Isabel Peña dimostrano – mancando di caratterizzare il partito di Manuel – di voler attribuire in via generalizzata al mondo politico. L’amarezza della morale arriva diretta, attraverso le domande di una giornalista. Riflettere sulle proprie azioni, all’indomani del crollo del sistema non è necessario: il sistema, il Regno, non è interessato al pentimento. Soprattutto, il Regno non crolla mai per davvero, sacrifica qualche pezzo di sé fingendo di chiedere perdono ma resta sempre e per sempre in piedi come lo conosciamo.