Dan Brown non è certamente un grande scrittore, nonostante riesca a mettere su storie gratuitamente impicciate che in qualche modo stregano il grande pubblico, e certamente bisogna rendergliene merito. Dopo il grande successo letterario, i film di Brown hanno fatto il naturale salto sul grande schermo, con Ron Howard alla regia e Tom Hanks a interpretare il protagonista, Robert Langdon. Dopo aver visto i primi due episodi della serie, Il codice Da Vinci e Angeli e Demoni, le aspettative per questo Inferno erano decisamente basse. Non perché ci piaccia partire prevenuti, ma semplicemente perché, onestamente, la pochezza dei primi film faceva ben poco sperare in qualche guizzo, in qualche innovazione, capace di portare questo nuovo capitolo più in alto. Purtroppo per tutti, avevamo ragione.
La soluzione più ovvia
Il film si apre con i vaneggiamenti di Bertrand Zobrist (Ben Foster): la sua teoria è che ogni problema del nostro pianeta, e quindi del genere umano come degli altri abitanti della terra, è dovuto alla sovrappopolazione, e che questa è un fenomeno impossibile da arginare. Nondimeno, il pianeta ha raggiunto il suo limite, e siamo quindi già quasi al punto di non ritorno. Come si risolve il problema? Facilissimo, con un nuovo virus, una forma di peste, che riuscirà in una settimana a decimare metà della popolazione mondiale. Il tutto si sposta poi a Firenze, dove il nostro filantropo, inseguito, si lancia nel vuoto e trova la morte. Nel frattempo il buon Langdon si sveglia in un ospedale con delle visioni a tema Inferno Dantesco, un po’ rincoglionito. Qui conosce Sienna Brooks (Felicity Jones), una dottoressa americana, che sarà la sua salvatrice quando una finta donna carabiniere farà irruzione nella struttura per ucciderli. Da questo punto in poi i due sono in fuga, inseguiti dall’OMS e dalle sue forze armate (levate il vino a Brown per favore). Intrighi e organizzazioni internazionali si dipaneranno per tutte le due ore di durata nel film, mischiandosi ai soliti misteri imperniati su opere d’arte e monumenti molto noti al grande pubblico. Poi, nel finale, si capisce che tutta questa costruzione messa su da Zobrist non aveva alcun senso logico, ma ci dobbiamo accontentare.
Ma… Cosa ho appena visto?
Il problema principale del film è quello che, se i misteri e i rompicapo dei primi episodi potevano avere un senso di esistere, in questo caso l’impalcatura non sta in piedi, neanche lontanamente. I messaggi nascosti nelle opere d’arte non hanno ragione di essere dove sono, per il semplice fatto che il piano malvagio di Zobrist si poteva risolvere in cinque minuti, senza fare nessun casino, così da non correre il rischio di essere sventato. Però, direte voi, poi come si faceva il film/libro? Non si faceva, e tutti avremmo risparmiato del tempo che poteva essere meglio impiegato nell’osservare i cantieri. Ma andiamo avanti. I personaggi sono quello che sono sempre stati, profondi come una buca sulla spiaggia. Zobriest, che dovrebbe essere il cattivo che però un po’ ha anche ragione, perché a parte la soluzione il problema che pone è effettivamente reale, appare come il classico miliardario belloccio, impegnato sul sociale, però con quel tarlo nella testa che gli dice di ammazzare mezzo pianeta, che un po’ ha anche stancato, senza riuscire ad essere caratterizzato come avrebbe meritato. Langdon al solito risulta caratterialmente non pervenuto, nonostante il timido accenno a una romance che viene, ovviamente, sfruttata malissimo e, ancora una volta, approfondita come lo sono le analisi di Salvini sulle politiche migratorie. Sienna invece porta con se un colpo di scena, che non vi starò a rivelare, ma oltre a questo c’è il nulla. L’unico personaggio vagamente interessante è Harry Sims (Irrfan Khan), a capo di una misteriosa organizzazione segreta, che riesce nell’intento di strapparci qualche timida risata.
Mille modi per spendere diversamente 8 euro
Inferno è un film che riesce solo sotto il punto di vista dello spettacolo, grazie alla bellezza di Firenze e alla capacità del regista di mettere in piedi scene di azione effettivamente efficaci. Per il resto, ci troviamo di fronte ad una valle di lacrime. La sceneggiatura, probabilmente, è il punto più dolente del film. Perché se è vero che la trama non sta in piedi, riuscendo a funzionare solo per lo spettatore che non si pone domande, mentre i personaggi sono interessanti come un match a Pong, i dialoghi riescono nel difficilissimo compito di fare ancora peggio, viaggiando su due diversi binari: il primo è quello della prevedibilità, così che lo spettatore sia gratificato nel riuscire a capire cosa diranno gli interpreti prima che questi proferiscano parola; la seconda, invece, riesce solo a far cadere le braccia – e non solo – al suolo, proponendo scambi di battute in cui i Nostri dovrebbero esprimere profondità e concetti alti, ma risultando di fatto un mare di banalità come poche se ne sono sentite negli ultimi anni. Dispiace soltanto che non ci sia una frase stupida come il “Se sei un vero carabiniere portami a piazza Navona” di Angeli e Demoni. Anche se non di pari livello, purtroppo o per fortuna, c’è però un “bellissimo” dialogo sul perché le cose belle accadono sempre sui portoni, così che almeno qualcosa da ricordare del film ce lo siamo portati a casa.