Pronto a debuttare il prossimo 27 agosto in Italia, Into the Storm è l’ultima pellicola distribuita dalla Warner Bros e firmata da Steven Quale. Il regista, che ha già debuttato in America l’8 agosto scorso, arriva al suo quarto lavoro dietro la macchina da presa, dopo aver condiviso Aliens of the Deep con James Cameron, e dopo aver anche chiuso la pentalogia di Final Destination con il quinto capitolo. Eravamo presenti all’anteprima tenutasi a Milano il 20 agosto, così da potervi dire la nostra su Into the Storm.
A Silverton è giorno di diploma: al liceo della città tutto è pronto per la cerimonia che saluterà gli studenti dell’ultimo anno. A organizzarla è Gary Morris (Richard Armitage) vicepresidente dell’istituto, insieme con i suoi due figli, Donnie (Max Deacon) e Trey (Nathan Kress), che dovranno riprendere l’evento armati di telecamere. Il primo, però, è attratto inevitabilmente da Kaitlyn (Alycia Debnam-Carey), una sua giovane compagna di scuola, la più bella dell’istituto: dopo averla notata discutere animatamente con una sua professoressa, Donnie decide di aiutarla a realizzare un cortometraggio sulla difesa dell’ambiente in una vecchia discarica abbandonata e pericolante, allontanandosi così dal suo impegno preso col padre. Nel frattempo, sullo sfondo, una tempesta mai vista prima d’ora sta per colpire Silverton: a inseguirla c’è Pete (Matt Walsh), cacciatore di tornado e autore di documentari, supportato dall’esperta Allison Stone (Sarah Wayne Callies) e Jacob (Jeremy Sumpter), un giovane ragazzo in cerca di soldi facili, nonostante il suo poco sangue freddo dinanzi a tali accadimenti naturali. A bordo del Titus, un carro armato impossibile da sollevare in aria, i tre inseguono il nucleo dei tornado per poter entrare nell’occhio e fotografarne il punto più nascosto all’occhio umano.
Le scelte di Quale nel raccontare la storia risultano essere decisamente discutibili. Partiamo col dire che l’aver lavorato a Final Destination 5 ha definitivamente compromesso lo stile del regista, che sovente sente la necessità di realizzare delle morti casuali che più che risultare realiste, risultano banali e strappano quasi un sorriso di disapprovazione: è palese quindi l’impostazione totalmente inusuale e l’approccio banale e superficiale alla tematica. Allo stesso tempo è stucchevole la narrazione e la preparazione dei dialoghi, tutti troppo falsi: Into the Storm, in questo aspetto, è troppo cinematico, trasuda irrealismo da ogni scena, senza offrire alcuna soluzione di tangibile realismo. I cliché narrativi, inoltre, riempiono i pochi buchi lasciati all’interno della pellicola dai tornado, che riescono a farla da padrone e rendersi protagonisti della vicenda, comparendo a schermo per la maggior parte del film: l’apogeo della pochezza interattiva tra i protagonisti viene raggiunta nel momento in cui Gary Morris incontra Allison Stone, in un momento del tutto casuale e fortuito, dando il via a un rapporto sorto dal nulla, ma che sembra rispecchiare una conoscenza decennale dei due. Eroico, senz’altro, invece Matt Walsh nel ruolo di Pete: per la prima volta fuori dai suoi dettami da comico (lo abbiamo visto in Parto col folle), l’attore veste i panni di un freddo cacciatore di tornado, caparbio e testardo, intenzionato a perseguire il proprio obiettivo. Il suo finale, separato da quello degli altri protagonisti, è un’esaltazione di una vita condotta alla ricerca dell’attimo, effimero. Quando, infine, al regista si presenta la possibilità di chiudere con un condivisibile climax di eventi, arriva la scena di chiusura che rinnova la necessità di ironizzare, in maniera puerile e stucchevole, sugli eventi, riuscendo inoltre a rovinare il pathos che si era venuto a ricreare nel finale.
Se però dal lato narrativo Into the Storm è realmente una realizzazione banale, tecnicamente ci troviamo dinanzi a una produzione vincente. Ricreare i tornado, i movimenti, la distruzione che portano, è un’operazione ben riuscita, ancor più negli ultimi minuti di film, quando è necessario riprodurre la fusione dei flussi e dei sistemi in una sola, grande arma naturale di distruzione. Le stesse inquadrature di Pete e dei suoi operatori creano un metafilm – film nel film – che non dispiace, soprattutto perché ci troviamo dinanzi a un evento catastrofico da documentare e uno dei protagonisti è, per l’appunto, un autore di documentari. In ogni caso quando si parla di catastrofi è essenziale partire da un’ottima base di effetti speciali per poter riprodurre l’effetto post apocalittico: sicuramente un punto a favore per Steven Quale, che se avesse mancato l’appuntamento con l’ovvio avrebbe sicuramente subito molte più critiche di quante non ne abbia già avute.
Quello che Into the Storm avrebbe potuto lasciare è un senso di appartenenza alla nostra specie, un amore transoceanico nei confronti di chi, a differenza nostra, vive quotidianamente col terrore che presto la natura potrà abbattersi su di essi. Vale per l’America, con i tornado, vale per il Giappone, con i terremoti, vale per qualsiasi altro popolo che deve sopportare questa Spada di Damocle: noi non conosciamo questo perenne stato d’ansia, per fortuna, ma questi racconti dovrebbero farci ragionare a riguardo. Purtroppo Steven Quale non era d’accordo e ha pensato che una risata e l’assurdo potessero giovare all’intera sua produzione. Uno sparo a salve.