Leone D’Oro a Venezia 2019 per il miglior film, ecco la recensione dell’attesissimo Joker. Diretto da Todd Phillips e scritto dallo stesso regista e Scott Silver, è un cinecomic atipico e realistico. Il film è un’analisi profonda e meticolosa della figura del principe pagliaccio del crimine, villain di Batman. E non vi lasciate ingannare! È molto più insito nel mondo del fumetto di quanto si creda. Un mastodontico Joaquin Phoenix porta con sé la performance della vita, seconda, ma non per merito, solo a The Master di P.T. Anderson. Il film si regge moltissimo sull’interpretazione dell’attore, che ci regala uno dei migliori Joker di sempre.
Il Mondo contro
Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è un tipo tranquillo che vive con la madre (una toccante Frances Conroy), si prende cura di lei e come lavoro fa il clown da marciapiede. Viene assunto occasionalmente come uomo-cartello o come pagliaccio per i bambini all’ospedale, ma il suo sogno è diventare un comico e incontrare Murray Franklin (un Robert De Niro decisamente in forma), uno dei più famosi showman e stand-up comedian della tv. Intanto cerca di avere una relazione con la sua vicina di casa Sophie (un’incantevole Zazie Beetz). Arthur, però, ha dei problemi: una risata isterica, non volontaria, gli impedisce qualsiasi rapporto socievole, in più è continuamente preso di mira da teppisti e balordi. La sua vita è un disastro, forse solo con un atto disperato può far emergere la sua figura, in un mondo decisamente egoista e ostile.
L’eredità di Scorsese
Joker deve moltissimo a Martin Scorsese. Inizialmente produttore del film, poi tiratosi indietro prima di investire, il filmmaker italo-americano ha lasciato diversi semi nella sua filmografia, che Phillips ha magistralmente raccolto per la sua storia. Re per una notte e Taxi Driver sono due esempi. Il sociopatico che si intervista da solo e sogna di incontrare Jerry Langton (Jerry Lewis) nel suo programma televisivo in Re per una notte e l’altro sociopatico, in Taxi Driver, che passa le giornate in casa davanti alla tv con una pistola in mano e le notti a guidare un taxi. Entrambi interpretati, non a caso, da Robert De Niro. Le citazioni in questo film sono molteplici, basti pensare all’abito di Joker simile a quello di Rupert Pupkin, o ad una scena in cui, davanti alla tv, gioca con una pistola; vi ricorda forse Travis Bickle? Siamo di fronte ad un cinecomic grezzo che prende spunto dal cinema dei disperati, gli ultimi, i losers, i sociopatici e li trasforma in maschere grottesche della tragicommedia della vita.
La costruzione di un mito
Se all’inizio la regia e la sceneggiatura ci sembrano zoppicare dietro ad una performance così attenta e minuziosa di Phoenix, presto capiamo che la scrittura non riguarda solo il personaggio di Fleck, ma tutti noi. Le sue debolezze, le sue indecisioni, i suoi momenti di imbarazzo, le sue battaglie contro i potenti, sono le nostre di tutti i giorni. La voglia di emergere e di mostrare al mondo la propria esistenza, anche quando tutte le certezze che si avevano crollano, è il filo conduttore della sceneggiatura. La trasformazione di Fleck in Joker è lenta ma asfissiante e claustrofobica. La regia segue questo personaggio e ce lo mostra in tutti i momenti della giornata. Momenti di improvvisazione di Phoenix, primissimi piani in cui traspare la sua anima, passi di danza rubati a chissà quale malato mentale, tutto a disposizione del metodo di recitazione. Phoenix è la super-marionetta di Gordon Craig a completo servizio della macchina da presa. La colonna sonora è graffiante, d’impatto e molto debitrice di Hans Zimmer. L’approccio alla regia è Nolaniano. Questo film deve tantissimo all’eredità lasciata da Il Cavaliere Oscuro e dai suoi personaggi.
È Joker
State temendo, come tutti, che questo film, dall’approccio realistico, non soddisfi il 90% dei fan che lo vanno a vedere? Sbagliate! Questo film ci porta nella mente di un assassino e ci mostra la sua genesi. Siamo con Joker quando ride di gusto o quando ride per finta, siamo con lui ad ogni passo di danza, siamo con lui ad ogni sparo e ogni smorfia di dolore, ogni lacrima. La mitologia del villain è sì, rivisitata, tuttavia con una consapevolezza matura che guarda ad un pubblico adulto, ma fedele alla controparte fumettistica. La fotografia di Lawrence Sher risalta il trucco, la scenografia che ci mostra una Gotham distrutta dal degrado e dalla spazzatura. La decadenza di un individuo e della sua città è anche simbolo di un’imminente rinascita, che stavolta ha in volto un sorriso.
Una nuova speranza
Il film apre (di nuovo) una porta al cinefumetto maturo, all’idea che si possano raccontare i personaggi circondandoli di un aura mitica ed empatica. Bisogna anche dire che Phillips aveva un ottimo materiale di partenza e un personaggio decisamente sfaccettato da portare su grande schermo. Ma, quale super-eroe non ha storie grezze da forgiare e che meritano attenzione? Detto questo, Joker si guadagna un posto nell’olimpo dei cinecomics ben scritti e congegnati e ci fa sperare che il futuro della DC al cinema, sia decisamente più cosciente e consapevole del potenziale che possiede. Non occorre solo un costume ben fatto, occorre trasporre l’anima del personaggio e questo Todd Phllips e Joaquin Phoenix lo hanno ben capito. Speriamo, lo faccia anche il pubblico.