Quando Mitsuha Mihamitsu (voce di Mone Kamishiraishi) si sveglia per vivere un altro giorno della sua noiosa vita da adolescente, scopre che il giorno precedente ha fatto cose davvero imbarazzanti di cui lei non ricorda nulla. La cosa si ripete ancora e presto le sue azioni le costruiscono la nomea di ragazza svitata e che nessuno può trattenersi dal criticare in quanto lei è la figlia del sindaco e sacerdotessa nel tempio locale, dove si pratica l’antico rituale per fare il kuchikami-zake, un tipo di sake imbottigliato dopo che le sacerdotesse che lo hanno tenuto in bocca. Sua nonna confida che Mitsuha e sua sorella continueranno la tradizione di famiglia insieme alla tessitura delle kumihimo, particolari trecce in tessuto risultato di un’antica tecnica artigianale, tuttavia Mitsuha sogna di uscire da quel paese rurale confinato tra le montagne, sogna Tokyo e una vita moderna circondata da luoghi alla moda, grattacieli e tecnologia. La complicata situazione a cui la portano le sue amnesie non fa che incentivare il suo desiderio di vivere la vita di un ragazzo di città, un desiderio che una sera lei urla al cielo stellato. Quando Mitsuha l’indomani si sveglia, si ritrova nel corpo di un bel ragazzo di nome Taki Tachibana (voce di Ryunosuke Kamiki) che vive nel cuore di Tokyo, frequenta abitualmente locali alla moda e lavora part-time in un ristorante rinomato, Il giardino delle parole. Tutto ciò non è un sogno, ma la pura realtà e Taki esiste, vive nel suo corpo quando Mitsuha è in quello di lui e altri non è che il responsabile delle imbarazzanti vicende che la riguardano.
Taki e Mitsuha presto – tramite appunti su quaderni e telefoni – iniziano a comunicare dettandosi delle regole, donandosi occasioni ed entrando in intima conoscenza non solo tra loro, ma anche con il potenziale che la vita può offrire a entrambi.
Il problema dell’identità e delle radici
Kimi no na wa continua il percorso artistico di Makoto Shinkai come una sorta di evoluzione del discorso narrativo intrapreso in Il giardino delle parole, non tradisce quindi la tematica romantica e il dramma legato a un’impossibilità di vivere normalmente una storia d’amore, ma non si ferma a questo; Kimi no na wa diventa soprattutto un’opera incentrata sulla ricerca dell’identità, come il titolo del film stesso suggerisce il nome – il primo elemento per identificarsi – è totalmente centrale e non a caso i protagonisti sono due adolescenti.
Le problematiche legate all’incapacità di accettare la realtà e il quotidiano sono esplicite e fondamentali, ma non sono l’unico conflitto presente: c’è uno scontro tra realtà geografiche e culturali, una realtà materialista che affascina molto di più del custodire un’antica tradizione shintoista legata al rispetto verso un’entità spirituale sconosciuta e forse inesistente, eppure è proprio l’elemento sovrannaturale che permette ai due ragazzi di vivere quest’esperienza e nel momento in cui Taki non riuscirà più ad aprire gli occhi nella vita di Mitsuha partirà da Tokyo munito solo del proprio disegno di quel paese di cui non ricorda il nome, alla ricerca di quella parte mancante di se, perché Mitsuha non è solo la ragazza di cui si è innamorato, è anche parte della sua stessa identità.
Kimi no na wa però è anche la storia di un dio non identificabile ma onnipresente, forse c’è proprio lui dietro lo scambio di anime, nella tradizione del kuchikami-zake, nei doni dell’amore e della crescita, nelle cronache meteorologiche che annunciano l’arrivo di una cometa che da sempre è simbolo di volontà e manifestazione divina. Storicamente le comete segnano l’inizio di molti culti religiosi e quindi sono punto cardine di intere civiltà, la possibilità di vederla è così una sensazionale notizia ripetuta tra radio e tv, ma Mitsuha non se ne cura poi molto, perché la sua testa e i suoi sogni sono proiettati a Tokyo; cova solo odio per il luogo in cui vive e viene da pensare che forse è proprio questo è il motivo per cui il destino di Mitsuha cambierà radicalmente quando la cometa passerà sopra il suo cielo.
Makoto Shinkai: l’erede di Hayao Miyazaki?
Dopo il successo di Kotonoha no Niwa (ovvero Il giardino delle parole, in Italia proiettato nell’unica data del 21 maggio 2014, grazie al progetto Nexo Anime di Dynit e Nexo Digital), Makoto Shinkai presenta il suo undicesimo film, Kimi no na wa (tradotto negli Stati Uniti in Your name), scritto e diretto basandosi sul proprio omonimo romanzo che attualmente ha superato il milione di copie vendute, mentre il film in un mese ha conquistato il primato d’incassi tra i film d’animazione prodotti negli ultimi anni, compreso Si alza il vento dello studio Ghibli che aveva segnato il record di incassi di 12.200.000.000 di yen.
Questo successo è un segnale importante dal Giappone: Makoto Shinkai sarà forse l’erede di Hayao Miyazaki?
Le belle animazioni della CoMix Wave Films, il character design semplice ma accattivante di Masayoshi Tanaka (Ano Hana), gli scenari suggestivi di Mateusz Urbanowicz (Space Dandy), un talentuoso cast di vocal actor (dove spicca Ryunusuke Kamiki, voce di Taki) e una colonna sonora emotivamente coinvolgente eseguita dalla rock band RADWIMPS, donano alla pellicola gli strumenti per rendere omaggio alla filmografia Ghibli, ma gli stessi elementi quasi sfidano lo studio fondato da Miyazaki mostrando un compromesso artistico tra vecchia scuola e animazione contemporanea. Tematiche e problematiche che lo studio Ghibli ci ha proposto negli anni in film quali Il mio vicino Totoro, Princess Mononoke e Il castello errante di Howl, Makoto Shinkai le ha unite e armonizzate tra messa in scena e sottotesto di questo nuovo lavoro, la quale complessità potrebbe essere il segreto di un successo che l’Italia merita di vedere sul grande schermo.
Quando il realismo supera il sovrannaturale
Parlare d’amore senza cadere in luoghi comuni e relazioni stereotipate è difficile, ancor più se si vuole raccontare molto di più e filosofeggiare tra simboli e luoghi, eppure queste difficoltà sono superate con magistralità e senza fare di questo film un’opera ricercata e di nicchia, la capacità narrativa di Shinkai media ed integra con intelligenza diversi elementi narrativi che diventano fruibili ad un pubblico di ogni età.
La presenza del sovrannaturale è importante, eppure questo lavoro riesce a conquistare per il suo realismo, per la capacità di portare in scena vite, personaggi, dinamiche e problematiche reali; qualsiasi spettatore può sentirsi Taki o Mitsuha e proprio per questa empatia verso le loro condizioni ci si lascia guidare nella riflessione delle alternative all’ordinario e il film diventa dunque oggetto stesso di filosofia, ma senza essere pesante, anzi, la scorrevolezza narrativa è in certi punti persino eccessiva, infatti qualche scena sembra necessitare di approfondimento e alcune parti vanno a formare veri e propri video musicali piuttosto che lasciarsi accompagnare dai brani della colonna sonora.
Nonostante si possono trovare critiche di messa in scena, nei contenuti e nel compartimento tecnico il film è incantevole, coinvolge con facilità, senza peccare di eccessi intenzionali e forzature per emozionare.