In un tempo in cui ancora i Buondì Motta erano la merendina più mangiata, dove Internet era una realtà ancora ben lontana da venire e – altro che Nintendo Switch – il divertimento portatile era relegato al massimo a un Game Gear e le sue sei batterie, crescevano molti di noi. Chi prima, chi dopo, generazione del boom, Millennials, X o Y, abbiamo vissuto quel mondo così genuino ma così ristretto e poco materiale, dove non potevamo certo venire a sapere dell’arrivo di un nuovo Indiana Jones tramite un Tweet o chiedere consigli di cucina a un chatbot abitante nel cloud. E quindi, anche l’heritage cinematografico di ognuno di noi resta limitato, almeno fino all’arrivo di WinMX e Limewire, alle sporadiche serate nelle sale cinematografiche, la programmazione ripetitiva di Italia Uno e, ovviamente, alle VHS contenute nel mobiletto sotto al vecchio tubo catodico, quelle che ancora oggi non avete coraggio di buttare via.
Si dà il caso che, dentro a quelle scatole che oggi paiono appartenere a un passato remoto, quasi come un otre etrusca, rimangano i più fulgidi ricordi di cellulosa di molti di voi lettori e di chi vi scrive. Le VHS se vogliamo, potevano rappresentare l’unico esempio di binge-watching del secolo precedente: sebbene limitate forzatamente nella loro varietà e spesso qualità – quando magari vostro padre vi aveva registrato qualcosa direttamente dalla TV – si prestavano alla visione ripetuta e sono state in grado comunque di modellare le nostre passioni di oggi. E infatti, al di là dell’allargamento di orizzonti dovuto al digitale, è impossibile negare che la selezione di videocassette di casa abbia avuto un ruolo fondamentale nella nostra crescita di appassionati di cinema.
L’importanza di chiamarsi Mowgli
Perciò, quando Disney ha annunciato di voler riportare nei cinema, in una inedita veste live-action uno dei suoi Classici più amati, La Bella e la Bestia, siamo sicuri che il volto di voi si sia adombrato e illuminato se possibile allo stesso momento, pensando a quanti e quali ricordi Belle, Maurice e Gaston rappresentino nelle nostre vite. Chi vi scrive (e non sarò il solo, ndr) pensa di aver “consumato” maggiormente solo la cassetta de Il Re Leone e di Aladdin, rimanendo nell’ambito dei Classici di Walt Disney, quindi questo rifacimento si è accollato una bella responsabilità. Responsabilità alla quale questi re-imagining di brand Disney hanno inizialmente risposto con passi più o meno falsi (Maleficent, Cenerentola), rendendoci indifferenti di fronte ad apparenti operazioni commerciali senza cuore, ma dal buon costume design. La Disney di oggi però non si arrende facilmente e ha mezzi tali da poter gestire alla grande Star Wars, figurarsi scarpette di cristallo, lampade magiche e lame incastrate nel basalto. Così, è tutto cambiato quando Il Libro della Giungla, circa dodici mesi fa, è arrivato nei cinema. Mai ci saremmo aspettati di apprezzare così tanto quella seconda narrazione della storia di Mowgli, da tutti i punti di vista, tanto da far quasi impallidire la comunque ineccepibile creazione originale. Detto questo, la fiducia e l’attesa per la prossima grande missione della compagnia che fu di Walt, in arrivo nei cinema italiani il prossimo 16 di marzo, non potevano non essere necessariamente alte, molto alte. E allo stesso tempo molto a rischio di passo indietro, passo che, vi assicuriamo, non è arrivato.
Rispetto per gli anziani
Diretto da Bill Condon (Dreamgirls, al lavoro anche su Chicago), La Bella e La Bestia è – fortunatamente – un omaggio e rimodernamento del Classico originale molto più vicino in termini di vicinanza all’opera originale e di qualità al lavoro di Jon Favreau piuttosto che ad altri esperimenti meno edificanti compiuti in passato, sebbene non riesca a pareggiarne del tutto la carica emotiva, artistica e tecnologica. Quello che si denota subito, sin dalle prime scene, è l’immenso rispetto e cura del team nel riportare in vita quello che per moltissime persone, come ampiamente detto, è considerato alla stregua di un testo sacro. Ogni ballo, ogni movenza e ogni inquadratura vanno a rispecchiare in alcuni casi quasi 1:1 quelle del film d’animazione del 1991, donando tuttavia, con una direzione artistica fenomenale, nuova luce e nuovo brio a qualsiasi attimo della narrazione. Non che non esistano nuove scene, approfondimenti (per esempio un excursus sulla misteriosa madre di Belle) e citazioni eccellenti (Tutti Insieme Appassionatamente per esempio), ma alla fine, come succedeva ne Il Libro della Giungla, l’intreccio resta – giustamente – il medesimo: quella struggente, magica e proibita storia d’amore nel cuore della Francia. Eccetto i più piccoli, la storia la conosceranno praticamente tutti, ma questo non leva nulla al ritmo del film e, anzi, gesta in noi quel sentimento di impazienza nel voler finalmente vedere “chissà come avranno rifatto quella scena/canzone”. Le canzoni sono le protagoniste del film, anche più della Watson e di Dan Stevens.
Musical in tutto e per tutto
Ogni Classico Disney ha sempre contenuto almeno un numero musicale al suo interno. Alcuni utilizzano le canzoni come un modo per spezzare il ritmo della narrazione o offrire divertimento, altri, molti, sono pressoché dei musical sui generis. Certamente, La Bella e la Bestia entra a far parte della seconda categoria, con coreografie e pezzi che ancora qualche volta, specialmente quando alziamo magari un po’ il gomito con amici fidati, ci divertiamo a riascoltare e canticchiare. La versione 2017 della storia del paesino di Villeneuve non lascia, ma raddoppia, espandendo la soundtrack dell’originale, quasi come se, per certi versi, stessimo assistendo a una conversione cinematografica del fortunatissimo spettacolo teatrale, più che del lungometraggio animato. Sebbene alcune di queste aggiunte musicali si dimostrino non a livello del materiale originale, abbiamo apprezzato davvero molto “Per Sempre”, un nuovo brano cantato da una Bestia distrutta dall’amore per Belle, un esercizio di stile non da poco da parte di Disney. La Bella e la Bestia è, per la gran parte del tempo, un vero e proprio musical dai valori di produzione e artistici fuori scala. Le musiche originali di Alan Menken sono un tesoro, riarrangiato con cura e sapienza, con l’unica licenza poetica qui e là di aver modificato in parte il testo originale per meglio adattarsi al labiale inglese. Ma tutte le nostre, vostre, mie, canzoni sono lì, con una nuova veste scintillante: La Canzone di Gaston, il tema principale secoli fa ormai portato in vita dalla coppia Gino Paoli – Amanda Sandrelli e, ovviamente, Stia con Noi, sulla quale non diciamo molto se non che sibilerete quasi sicuramente un “wow…” al termine del numero.
La Bella alla prova del nove
Passando all’analisi del cast del film, impossibile non dedicare qualche riga alla Watson. Sebbene un occhio maschile (scusate la debolezza, molto naturale, ndr) possa essere facilmente obnubilato dalla sua bellezza ad un primo sguardo, l’occhio critico nota un’attrice capace ma poco espressiva, che vive spesso del suo faccino e del suo portamento innato, piuttosto che di spiccate doti attoriali. Emma ha ancora tempo per assurgere all’Olimpo di Hollywood certamente, ma la sua Belle risulta un po’ troppo “safe” e poco personale, quasi come se l’attrice avesse toccato il ruolo in punta di piedi, per paura di rimanere scottata. Molto più efficaci le performance di Luke Evans (Lo Hobbit) nel ruolo di Gaston, e il discussissimo Josh Gad, interprete di un Le Tont trasformato in omosessuale in maniera molto sapiente, brillante e cortese dallo script di Condon. Ingiudicabili in questa versione doppiata i pur prevedibilmente azzeccati attori da novanta nei ruoli dei vari Lumiere (Ewan McGregor), Tockins (Ian McKellen) e Mrs. Brick (Emma Thompson) e via discorrendo. Ottimo lavoro per la pattuglia di voci italiane, senza nomi di grande spicco (Vittoria Puccini nel ruolo di Agatha a parte), ma con livelli vocali degni di una produzione musical di alto livello.