Quando la storica Deborah Davis iniziò a scrivere la prima bozza di sceneggiatura de La Favorita, era l’anno 1998 e il film era pensato con un altro nome. Della Regina Anna e la sua amica (e favorita) Lady Sarah, la Davis sapeva poco ma era intrigata dal conoscere la relazione tra le due donne. Trovò le loro corrispondenze e uno fonte biografica esterna, scritta da Winston Churchill, in quanto discendente del primo duca di Marlborough, marito di Sarah. Churchill scrisse di un triangolo di potere, invidie, gelosie e affetti che la Davis riteneva importante raccontare. Essendo la sceneggiatrice ancora alle prime armi con la scrittura, la sua bozza non convinse totalmente, perché l’idea di un film in costume non era quella che si voleva seguire.
Nel 2009, quando Yorgos Lanthimos vinse l’Accademy Awards come Miglior Film Straniero con Dogtooth, era già intrigato dal soggetto de La Favorita e l’incontro con Tony McNamara portò i due a lavorare insieme per dare un taglio diverso alla storia.
Il gioco delle favorite
La Gran Bretagna è in guerra contro la Francia nel 1708 e ha bisogno di alzare le tasse per poter pagare la guerra, ma alla Regina Anna (Olivia Colman) ciò interessa relativamente, quando ha diciassette conigli da coccolare e le corse tra anatre da vedere. A gestire le politiche del regno, nell’ombra, è Sarah Churchill, Duchessa di Marlborough (Rachel Weisz), amica e confidente della regina, così intima da guidare e sgridare Anna, come fosse una bambina e non la sua regina. Sarah così è quella che – letteralmente – porta i pantaloni a Palazzo Reale, con tante – troppe – responsabilità da gestire, sempre attenta e lucida, ma non presente al fianco di Anna come la regina vorrebbe, in quanto fragile e mentalmente provata dai drammi vissuti.
A Palazzo reale arriva Abigail (Emma Stone), figlia di un casata caduta in disgrazia e di cui il padre pagò i debiti vendendola bambina a un vecchio tedesco. Abigail è anche cugina di Sarah, ma la stessa l’accoglie duramente a Palazzo dove viene impiegata come domestica. L’intelligenza e le capacità della giovane colpiscono positivamente la duchessa, rendendola la favorita di Sarah per i servigi fatti alla regina (raccogliere delle erbe per curare la gotta). Nel frattempo Abigail viene a conoscenza della vera natura del rapporto tra Lady Marlborough e Sua Maestà, ma non rivela nulla, neanche a chi vorrebbe corromperla.
La Duchessa di Marlborough è sempre più impegnata e lontana dalla sua cara regina, ma la fiducia che ripone in Abigail la spinge a chiederle di tenerle compagnia al suo posto. La cameriera favorita della favorita della regina entra così nelle stanze – e grazie – di Anna, instaurando con lei il legame che la regnante sembra cercare e che presto si trasforma in qualcosa di diverso, che cambia gli equilibri di corte.
Lotte di potere
Lanthimos ci avverte già dal titolo, che implica una lotta per una posizione di potere, perché la posizione è fondamentale, anzi, tutto.
Nell’epoca del #metoo, una storia di potere con protagoniste femminili di grande forza, trova il terreno ideale, anche se non deve lasciare ingannare l’esistenza del movimento, perché Lanthimos mira a un egalitarismo più estremo e dalla triste conclusione. Il biopic in costume viene esorcizzato dal regista in un dramma nichilista e satirico, dove il gusto del barocco è così ostentato da riuscire a creare un clima claustrofobico, dove la bellezza dei costumi è solo una delle tante armi del potere, un potere che è costruito su debolezze, egoismi, opportunismo e anche stoltezza.
Lo scenario e il momento storico portano a dover valutare il clima culturale e sociale, un mondo dove seppur il potere è della regina la società si muove come totalmente maschilista. In questo mondo, dove Abigail ironizza sulla possibilità di essere stuprata da un corteggiatore, tutto è poi ribaltato dalla donna che ha potere, pronta a sacrificare un marito al fronte come fosse un soldatino di piombo.
Quel mondo maschilista, reale e crudo, in questo microcosmo viene umiliato, perché gli uomini che girano intorno a queste tre donne (Nicholas Hoult su tutti) sono personaggi deboli, ridicolizzati, truccati come pagliacci, ai quali lanciare contro ortaggi. Sono uomini di troppo, uomini oggetto, meri burattini verso cui non vi è alcun interesse, se non quello di strumentalizzarli.
Lo scenario che si delinea è ben lontano dalle ragioni e dagli intenti del femminismo, può sembrare solo un rovesciamento di ingiustizie, ma gli intenti di Lanthimos sono tendenti all’egualitarismo assoluto.
Parallelamente alle problematiche di genere, ci sono quelle di classe: attraverso un’ironia feroce il lusso viene volgarizzato, così come la classe dirigente, ma non solo.
Gli ultimi e gli attori della povertà non sono simboli di giustizia: come cani bastonati che inteneriscono il cuore di chi li vede, lì dove ricevono una carezza scodinzolano, ma l’istinto del lupo rimane. La lotta per il potere e per posizioni di favore è costante, persino le domestiche più anziane inizialmente si divertono ad abusare della loro posizione per umiliare Abigail, senza un motivo: lo fanno solo perché sono nella posizione di poterlo fare.
Uomini o donne, poveri o ricchi, nobili o servi, per Lanthimos non è importante: ogni essere umano è uguale, cambia solo a seconda del potere che ha in mano.
Il nichilismo di Lanthimos
I linguaggi usati dalle scenografie ai dialoghi, dai colori della fotografia ai costumi, sono atti a creare un eccesso di forma che ha bisogno di coprire ogni espressione all’interno di questo universo cinematografico, ma esso non è sintomatico a una molteplicità di contenuti.
Fermandoci a riflettere sull’egalitarismo assoluto di cui sopra, e a tutto ciò che è contenuto filmico, arriviamo alla conclusione che La Favorita è un’opera di nichilismo assoluto, perché in quel Tutto contiene il Nulla.
Gli esseri umani che si muovono in questo universo sono molto diversi tra loro, ma basta che lasciamo avanzare il tempo per renderci conto che sono tutti uguali, tutti miserabili.
Il concetto del provare solitudine in una stanza piena di persone, viene assolutizzato e portato su scala globale da Lanthimos, tanto che viene perfettamente rappresentato nell’occasione di un ballo in cui la regina – messa da parte – osserva gli altri divertirsi e implode alla vista di Lady Sarah danzare e divertirsi con altri e non con lei.
Se la Regina Anna ci sembra un enigma a causa del suo umore, perché instabile, è proprio ciò a renderla il personaggio più onesto con le sue emozioni. La straordinaria performance di Olivia Colman (miglior attrice ai Golden Globe 2019 e Coppa Volpi alla mostra del cinema di Venezia) ci permette di comprendere al meglio tutto il male di vivere di Anna e quanto questo dolore la porti ad essere inevitabilmente sola, alienata dal mondo. Questo non è dovuto però al fatto che Anna è la regina, la posizione evidenzia semplicemente questo fatto che alla fine è condiviso da tutti i personaggi de La Favorita. C’è chi ne è più consapevole, chi meno e chi si illude, ma Lanthimos è un assolutista, che non fa sconti a nessuno.
Il nichilismo puro che regna nella pellicola non deve farci pensare che i raffinati linguaggi impiegati siano voci di contenuti qualunquisti. Seppure tutti gli esseri umani sono miserabili per Lanthimos, questo non significa che essi siano creature senza qualità e che non esista bontà o felicità.
Il trio di donne protagoniste anche nei momenti più detestabili, mostra virtù e forze per cui si prova ammirazione. Non sono buone o cattive, perché nonostante il giudizio del regista sia assoluto, egli non vede i personaggi in bianco o nero. La narrativa del film è molto vivace, in continuo movimento, mostra momenti di gioia e di dolore, c’è spazio per l’amore quanto per l’odio, le tre donne non sono personaggi piatti ma complessi e capaci di farci cambiare idea su di loro a seconda delle circostanze, ma c’è un problema che le ostacola: l’ego.
Lo stesso ego che si esprime nella messa in scena, nel lusso sfarzoso del palazzo, è il nemico degli umani a cui sottrae valori e felicità; è l’ego a modificare gli equilibri e a rendere gli umani affamati di potere, alla ricerca dell’effimero. L’ego, pensando a se stesso, ricercando una falsa sicurezza, opportunista per natura rende l’umano miserabile e solo: lui è l’unico responsabile del nichilismo de La Favorita.
Yorgos Lanthimos si asserve della storia e di una particolare biografia per dimostrare la sua tesi nichilista, aiutato da uno sfarzo che non permetta sobrietà: quale luogo migliore di una corte reale per un simile scopo?
La sua critica satirica e drammatica – supportata da una bellezza fine a se stessa – ha fatto conquistare a La Favorita il Leone d’Argento alla settantacinquesima mostra del Cinema di Venezia e numerosi premi ai British Independent Awards, senza contare che l’American Film Institute ha inserito il film tra i migliori dieci del 2018.
Scontate, oltre che meritate, le 10 nomination agli Academy Awards 2019 a pari numero con Roma.