La Marvel ha creato un mostro e no, non mi riferisco a Hulk e nemmeno alle scene dopo i titoli di coda (che finalmente un Autore – si, la maiuscola è voluta – ha deciso di perculare, grazie James Gunn!), ma a qualcosa di molto più espanso: l’Universo. Oh si, avete letto bene. Il successo dei Vendicatori ha in un certo senso creato qualcosa di unico nella storia cinematografia: una serie di lungometraggi dedicati ai singoli supereroi nati dalla matita di Stan Lee, che hanno diversi elementi della trama che fanno da filo conduttore tra le varie pellicole. In parole povere una serie tv proiettata al cinema, i cui singoli episodi durano dalle due alle due ore e mezza. I Marvel Studios hanno saputo trovare l’equilibrio sapendo coniugare sapientemente la commedia all’azione, accontentando i fan più sfegatati dei comics e allo stesso tempo chi i fumetti non li ha mai letti. Quando qualcosa funziona, si sa, c’è sempre la gara per replicare il successo. I primi a provarci sono stati Warner Bros. e Legendary Pictures con il MonsterVerse, che vedrà scontrarsi nel 2020 due mostri veri e propri e icone della Settima Arte: Godzilla e King Kong.
Universal Studios non ha voluto esser da meno e ha lanciato il Dark Universe un universo cinematografico che riunisce sul grande schermo personaggi famosi apparsi in romanzi o fumetti.
Il film d’apertura di questo ambizioso progetto è La Mummia e se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera, allora siamo rovinati: il film è un mezzo disastro. Intendiamoci, gli intenti sono ottimi, la storia di base c’è, ma è raccontata davvero male. La sceneggiatura è piena di forzature e il film è pieno di scene senza senso. Da qui in avanti seguiranno spoiler.
Un’antica Principessa d’Egitto (Sofia Boutella), imbalsamata viva a causa delle sue perfide azioni, viene risvegliata ai giorni nostri portando con sé tutta la malevolenza cresciuta nel corso dei millenni. Dal deserto dell’Iraq alle strade trafficate di Londra, un militare (Tom Cruise) dovrà fronteggiare questa minaccia con l’aiuto di una misteriosa ricercatrice (la britannica Annabelle Wallis).
La trama è semplice ma piena di scene WTF?!, in cui la cosiddetta “sospensione dell’incredulità” viene abbondantemente superata. Prendete ad esempio l’incidente aereo provocato da uno stormo di corvi aizzati contro il velivolo dalla Principessa, in cui perdono la vita tutti i passeggeri rimasti sull’aereo che precipita al suolo schiantandosi. L’inquadratura successiva mostra i cadaveri perfettamente integri qualche ora dopo nei sacchi bianchi in polipropilene all’obitorio. Oppure quando la Mummia è incatenata nella base segreta del Dr. Jekyll (Russell Crowe), inquadrata da una ventina di telecamere, sorvegliata da un esercito e indebolita col mercurio liquido che le viene iniettato direttamente nel corpo. In tutto ciò un addetto alla sicurezza viene attaccato da un insetto e ipnotizzato dalla Principessa, ha il tempo di prendere un’ascia (?), camminare tranquillamente verso la prigioniera (??) e disattivare con ripetuti colpi il sistema che la sta indebolendo (???). Con la tranquillità di chi fa colazione al bar la domenica mattina.
Se non si riesce ad inventare dal nulla la ricetta perfetta, allora serve un buon chef o, tradotto in linguaggio cinematografico, un buon regista. Lo ha capito la DC, che dopo numerosi fallimenti (Man of Steel, Batman v Superman: Dawn of Justice e Suicide Squad), ha affidato Wonder Woman a Patty Jenkins (regista di Monster) e The Batman a Matt Reeves (Cloverfield, Apes Revolution). Nel primo caso i miglioramenti si sono visti, nel secondo staremo a vedere.
Quando arriverà – se ci arriverà – la Universal a questa conclusione? E pensare che lo stesso Kurtzman ha inconsapevolmente suggerito la soluzione alla casa di produzione inserendo nel film una citazione splendida a Un lupo mannaro americano a Londra, uno dei film più belli di John Landis. Chi meglio di un Maestro del cinema, capace di coniugare alla perfezione commedia e horror, potrebbe dirigere un capitolo di questo Dark Universe? Sarebbe poi da verificare la volontà di Landis di piegarsi a un certo genere di cinema, ma questa è un’altra storia.