Dopo il successo planetario di Game of Thrones, quasi si ignora quanto i film a tema sword and sorceress di impronta più cupa e adulta siano sempre stati presenti nel campo del fantasy, ma sempre rimasti in secondo piano e dimenticati troppo presto. Conan the Barbarian ne è un valido esempio: uscito nel 1982, è una pellicola che per molti versi è figlia del suo tempo, ma che risulta enormemente anacronistica per quanto riguarda il genere e il riconoscimento che meriterebbe al tempo presente.
A differenza del dimenticabile remake di pochi anni fa con Jason Momoa e il buono ma non eccelso sequel Conan il distruttore, Conan il barbaro è un film profondamente ispirato, i cui elementi di azione e mero intrattenimento sono solo una sottile superficie che nasconde una complessa varietà di tematiche, basandosi su una corrente di pensiero prettamente nietzschiana e rivolgendo più di un tributo al cinema di Kurosawa e di Bergman.
Scritto da Oliver Stone e John Milius, il film si ispira al celebre personaggio protagonista dei racconti di Robert E. Howard, dal quale prendono forma gli altrettanto famosi fumetti di Frank Frazetta.
Ciò che non uccide rende più forti
Per chi non conosce la penna di Howard è difficile riuscire a cogliere la complicata filosofia che aleggia intorno al personaggio di Conan, tuttavia il film, pur discostandosi dall’opera originaria, è riuscito a cogliere pienamente tale filosofia, la quale trascende il concetto di guerra o eroismo andando a cogliere le sfaccettature più primordiali e complesse che stanno alla base della natura umana.
In molti tendono a storcere il naso quando nei titoli di testa compare il nome di Arnold Schwarzenegger, associando immediatamente questa pellicola a uno dei tanti film muscolari di bassa lega che lo vedono come protagonista. Ciononostante la scelta dell’attore non si dimostra solo azzeccata ma quasi inevitabile. L’intelligenza del casting si è basata infatti non tanto sulla bravura degli attori ma sulla costruzione dei personaggi su di essi.
Anche gli altri protagonisti come Valeria e Subotai sono letteralmente cuciti addosso agli interpreti Sendhal Bergman e Jerry Lopez, tanto che – come dice la Bergman in un’intervista – “i personaggi sono le persone”. Di fatto lo stesso Jerry Lopez non è un attore bensì un surfista di professione, ma nessuno avrebbe potuto essere il ladro arciere meglio di lui.
Tuttavia a tenere alto il valore delle interpretazioni troviamo attori di altissimo livello, quali James Earl Jons, Mako e Max Von Sydow. Tutti e tre ricoprono un ruolo cardine nella storia, le cui magistrali interpretazioni forniscono ulteriore spessore alla narrazione, rendendo il tutto più vero, più umano, a tratti poetico.
Di fatto Max Von Sydow, nel ruolo di re Osric, compare in una singola scena ma lo splendido monologo sull’amore di un padre per la figlia riesce ad entrare sotto la pelle, soprattutto quando tali parole vengono dette da un personaggio tanto singolare e tanto insolito per un attore come Von Sydow.
Mako è un attore naturale, il cui carisma rende il mago Arkiro unico nel suo genere: burbero, sgarbato, istrionico; un qualsiasi altro attore lo avrebbe reso una macchietta, non lui.
James Earl Jones è il mago Thulsa Doom, nemesi di Conan e motore degli eventi nella storia. A conti fatti è difficile trovare un antagonista simile in altri film del genere. Non è fisicamente minaccioso, ma la sua voce e le sue parole riescono a confondere e stregare, ad incutere timore e rispetto, gentile e crudele allo stesso tempo, figura oltremodo perfetta per uno stregone in grado di irretire le menti altrui.
La regia è curata nel dettaglio, Milius è stato capace di catturare la luce naturale delle splendide location usate per le riprese. I combattimenti sono stati coreografati con minuzia, mettendo alla prova tutti gli attori con lunghe ore di allenamento. La ricerca del realismo ha portato anche ad alcune scelte che oggi sarebbero inconcepibili come l’uso di spade vere nelle riprese ravvicinate durante gli scontri.
Nel duello alla pira la spada che si spezza è di vero acciaio, come anche quella nella scena finale. Nella scena in cui uccidono un enorme serpente nel tempio di Thulsa Doom, invece, è lo stesso regista – esperto arciere – a scoccare le frecce sopra la testa di Schwarzenegger.
Scelte pericolose ma che sullo schermo fanno la differenza.
La musica ha un ruolo fondamentale nella narrazione. Il film è povero di dialoghi è quindi compito della colonna sonora di Basil Poledoiuris a raccontare le emozioni che si consumano sulla scena. Compito riuscitissimo grazie ad una musica piena di sentimento, mai invasiva, potente o delicata al momento giusto.
Il segreto dell’acciaio
Conan per tutta la vita non conosce altro che la lotta. Fatto schiavo da bambino e cresciuto nelle fosse di combattimento, una volta libero non ha la minima idea di cosa voglia dire vivere nella civiltà, è come una bestia selvatica cresciuta in catene che con difficoltà riesce a comprendere la complessità della società umana. Il suo primo amico è un ladro e di conseguenza lo diventa anche lui. Conan ignora il concetto di giusto e sbagliato, lui osserva tutto dall’esterno e valuta secondo il suo metro di giudizio.
L’ unico vero insegnamento impartitogli fin dalla nascita è l’arte della spada, un arte che non si limita all’uccidere il proprio avversario, è una disciplina complessa che porta ad una consapevolezza superiore.
“Di nessuno ti puoi fidare, né uomini, né donne, né bestie, di questo solo ti puoi fidare” dice il padre di Conan indicando la sua spada.
Questo film, nonostante sia piuttosto violento – ai tempi fu vietato ai minori di 17 anni – non sminuisce mai la vita umana, ogni uccisione ha un suo scopo, che sia la sopravvivenza, la vendetta o il potere. L’atto di uccidere non è mai scontato o divertente, il che dona al tutto un maggiore realismo alle battaglie.
Siamo solo uomini, né dei, né giganti, solo uomini
Non è semplice rendere verosimile una storia che comprende elementi fantastici. L’ambientazione di Conan è studiata in modo tale che risulti come un tempo remoto, realmente esistito, gli elementi magici sono sottili, mai troppo palesi o eclatanti, un concetto di fantastico che precorre di anni quella peculiarità che oggi fa tanta presa sul grande pubblico.
Conan passa la sua vita a cercare Thulsa Doom, l’uomo che ha sterminato il suo villaggio, perché non ha altro scopo nella vita se non la vendetta. L’incontro con Valeria si dimostrerà però essere una deviazione nel suo cammino, dimostrandogli che esiste altro nella vita, un “calore” tanto difficile da trovare in questo mondo. Ma chi vive combattendo non conosce un altro modo di vivere, la stessa Valeria è uno spirito affine al nostro eroe, per lei l’amore è combattere al fianco del suo compagno, anche a costo di sfidare gli dei. Il suo personaggio è uno dei tanti elementi che precorre i tempi nel cinema di azione e avventura: lei non è una fanciulla da salvare ma un alleato fedele sul campo di battaglia, dotata di grande forza di volontà e un innato spirito guerriero pur mantenendo la sua femminilità senza mai sembrare un misero oggetto sessuale. Un valchiria in terra, vera e propria.
Il rapporto che i protagonisti hanno con le divinità non è mai di paura ma di sfida, la stessa “preghiera” di Conan conclude con una maledizione al suo stesso dio se si rifiuta di ascoltarlo.
Conan non è come Sigfrido o come Achille, non è un semidio o un eletto dagli dei, può essere ferito, commette errori, perde la strada, può essere sconfitto ma si rialza con le sue sole forze, lotta per la sua vita con le unghie e con i denti, senza magia, senza divinità che lo assistano.
Se pensate che questo sia semplicemente un film “tamarro” siete fuori strada. Il messaggio che trasmette Conan il barbaro è complesso e potente: si può essere fautori del proprio destino, si può ottenere ciò che si vuole con le proprie forze, ma tutto ha un prezzo da pagare. La vendetta è un obiettivo effimero, che una volta raggiunto svuota dentro, la vendetta per Conan è l’ultima estrema liberazione della sua anima. Conan non è un eroe, né vuole diventarlo, ma lo diventa suo malgrado. Questa storia non ci dice che il destino esiste ma che si manifesta come conseguenza delle nostre scelte.