Coniugare due dei generi cinematografici più di moda negli ultimi tempi come horror e film sui supereroi deve essere sembrata un’idea semplice ma geniale agli scrittori di L’Angelo del Male: Brightburn, ovverosia il fratello e il cugino (Mark e Brian) del decisamente più celebre James Gunn, regista dei Guardiani della Galassia e recentemente al centro di uno scandalo internazionale – fortunatamente rientrato – a causa di alcuni tweet poco gentili postati all’inizio della sua carriera. Ci immaginiamo quasi la scena: cena di Natale in casa Gunn. Tra una portata e l’altra i due meno celebri familiari propongono all’abbiente parente un concept per un film horror che si può descrivere facilmente con una frase: “Ma se Superman fosse arrivato sulla Terra e… Fosse stato cattivo?”.
Perché è questa bene o male la storia di Brightburn in un parole povere. Siamo negli Stati Uniti centrali, nella cittadina di Brightburn appunto, e una coppia di agricoltori fatica a concepire un bambino. Gli sforzi di Tori (Elizabeth Banks vista nella saga di Hunger Games) e Kyle Breyer (David Denman visto in Power Rangers) risultano inutili da mesi e lo sconforto sta per impadronirsi dell’altresì felice famigliola. La svolta arriva un giorno dal cielo, quando una misteriosa astronave gli recapita nel giardino davanti a casa un altrettanto misterioso neonato. Visto come una benedizione dal cielo, Brandon viene cresciuto dai Breyer come loro amato e amorevole figlio ma, una volta raggiunta la pubertà, i problemi iniziano a manifestarsi e i segnali di qualcosa di malvagio iniziano a manifestarsi nel ragazzo…
Brightburn: supereroe o superminaccia?
In un’escalation di violenza e incidenti, L’angelo del Male: Brightburn racconta la trasformazione di Brandon, un ragazzo che non può essere ferito, non prova fatica e inizia a perseguitare gli abitanti del paese, i quali piano piano cominciano a sospettare che forse quel piccoletto non è così innocente come sembra. La storia più intima di un bambino che attraversa un’adolescenza decisamente sui generis è sicuramente la parte più originale e riuscita del film. Se dai tempi di Smallville per arrivare fino al recente Shazam! il canovaccio dello sviluppo di un ragazzo dotato di superpoteri ha sempre seguito un più o meno travagliato viaggio verso l’eroismo, Brightburn svolta decisamente presto verso il genere horror. Lo spettatore è – diversamente da quello che succede nei film horror di solito, quando è il mistero e l’incognito a inquietare – unico testimone consapevole delle malefatte di Brandon e passa 90’ ad assistere alla presa di coscienza dell’intera cittadina, fino ad arrivare a un finale aperto che ci ha dobbiamo dire soddisfatto.
Peccato che L’angelo del Male: Brightburn non riesca a gestire la tensione e il senso di paura che poteva indurre, combattuto fin troppo tra due generi apparentemente non compatibili. Non c’è sicuramente l’epicità di un Avengers: Endgame da una parte, mentre dall’altra manca il livello di spavento e emozioni forti di un Noi, per fare un paio di esempi. La storia regge e fila, le scene interessanti (quella della macchina e lo zio per citarne una o quella nel diner) ci sono anche, ma generalmente Brightburn fatica a trovare una sua identità, complice anche l’eccessivo utilizzo di cliché del cinema di paura come i temutissimi (in tutti i sensi) jumpscares dei quali non sentivamo il bisogno.
Voglia di osare, ma solo a tratti
Quello che ci ha lasciati intrigati e convinti è stato invece il coraggio del film nel non lesinare scene crude o destini particolarmente avversi anche a personaggi che un approccio “safe” del copione avrebbe sicuramente protetto. Come detto il finale è stato un altro elemento che denota la parziale originalità di un prodotto che tuttavia manca di innovazione nello script, nello sviluppo di situazioni, storia e personaggi, finendo per essere troppo prevedibile e poco ispirato per fare giustizia a un concept così intrigante.