Guerra di secessione americana. Profondo sud.
Preannunziata dal fischiettio dell’innocenza infantile, una giovanissima quasi donna sudista scova un soldato ferito all’ombra di un albero e decide di prestargli soccorso.
Lo conduce al collegio femminile, luogo dove lo yankee s’appresta a ricevere cure e attenzioni dalle presenti, alle quali fornisce a sua volta la più valida distrazione dalla prigionia del tedio e dal dramma della guerra.
Nel remake de La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel, Sofia Coppola trova pane per i suoi denti.
Sostituisce un solido Clint Eastwood con un ben più convincente Colin Farrell, nemico nordista reso inoffensivo dal contesto, oggetto passivo dall’esotica irlandesità.
La caratterizzazione dell’universo femminile la fa da padrone, riconfermando l’intelligenza autoriale della regista, notoriamente abile nella scelta di attici fotocopia declinate in umane sfumature pregne di senso e complessità.
L’estetica dell’opera è più che perfetta, ineccepibile e rara, dai curati costumi all’accurata scenografia, passando per una fotografia che comprende ed esalta la storica alienazione.
I dialoghi veicolano i contenuti, omettendo laddove è più etico che necessario.
Il sound design conduce il gioco come un silente veleno, mostrandosi senza fronzoli, per poi ritrarsi con la sfacciata sobrietà della maestrina inglese hitchcockiana.
L’inganno è un thriller psicologico che scalcia nel genere, esprimendosi oltre, con l’impeto artistico del capolavoro.
L’inevitabile deriva d’inganno e violenza, delle castrate illusioni che si servono magistralmente del contesto della guerra civile, risulta fluida e scorrevole, tutt’altro che scontata.
Supportata da sottili equilibri, che sfumano il labile confine, più che tracciarlo, tra carnefice e vittima, la storia si dipana per svelare una nemesi che altro non è che un punto di vista.
In amore come in guerra. In ogni ricerca e in ogni battaglia.
Le interminabili lande del sud vengono accantonate in favore di claustrofobici interni, mostranti impietosi il vero volto del conflitto.
L’atmosfera precipita oscura e asfissiante, le labbra si spiegano nel vano tentativo del respiro.
I denti digrignati nella folle isteria, di una borghese prepotente arroganza, che rifiuta di capitolare d’innanzi alla novità.
Le narici dilatate dal sospetto. Lo sguardo ricolmo di voli pindarici. Lo sguardo vuoto di frustrazione.
Poiché più di ogni altra cosa, questo film parla di quella guerra.
Un conflitto moderno e ideologico, che ha scardinato privilegi di una classe sociale cieca ed arretrata. Per rinnovarne il vestiario.
Una lotta contro la schiavitù, dove il sovversivo sbraitante nemico è per l’altro colui che detiene la chiave.
Della prigionia. Della libertà.