Con L’Isola dei Cani, Wes Anderson si lancia in una nuova impresa di animazione, ancora una volta in stop-motion, come aveva fatto nel 2009 in Fantastic Mr. Fox.
Vent’anni nel futuro, la popolazione canina nella prefettura di Uri, Giappone, ha raggiunto dei numeri esorbitanti, e il sindaco Kobayashi, discendente da un clan solito venerare i gatti, impone una quarantena, trasformano l’isola del’immondizia nelle vicinanze della città in un luogo di esilio per tutti i cani.
Abbandonati completamente, i cani vivono da randagi sull’isola, continuando ad aumentare il numero di animali contagiati da due misteriose patologie. Per sopravvivere si deve lottare, ed è questo che fanno Duke, Boss, Rex, King e Capo, “un branco di spaventosi, indistruttibili cani alfa” la cui vita viene sconvolta quando un piccolo areoplano si schianta sull’isola.
A guidarlo è Atari Kobayashi, protetto del sindaco, che è venuto alla ricerca del suo cane: Spots.
Insieme al piccolo pilota, il branco si lancia in un’incredibile avventura attraverso l’isola, scoprendo che nelle loro mani non c’è solo il destino di Spots, ma quello di tutti i cani.
L’Isola dei Cani: guardando la realtà con ironia
Il nuovo film di Anderson è completamente all’insegna dell’ironia, è leggero e piacevole, ma niente affatto scontato.
Ogni questione viene affrontata sotto un punto di vista alternativo, quello del cane, del suo pensiero. È ironico come un film iniziato nel 2016, cada perfettamente in linea con i fatti contemporanei.
Nel film, come nella realtà, sono dei ragazzi del liceo ad opporsi alle idee folli del sindaco Kobayashi, a farsi avanti nella protesta, prendendo la parola davanti alla cittadinanza a favore dei cani, rappresentazione di tutti coloro che sono stati messi da parte, che vengono emarginati nonostante il loro duro lavoro.
Sotto questo punto di vista il film di Anderson è incredibilmente maturo e al passo con i tempi, perchè è capace di inserire temi fondamentali dentro ad una trama estremamente semplice, in un copione ricco di battute pungenti, di immagini di incredibile forza, di situazioni bizzarre che sollevano il morale.
L’Isola dei Cani: un esperimento tecnico ben riuscito
La tecnica dello stop-motion era già stata usata da Wes Anderson in uno dei suoi precedenti lavori: Fantastic Mr. Fox, nel 2009.
Rispetto al primo film, ne L’Isola dei Cani è evidente un lavoro molto più complesso, a partire dalla quantità di ambienti rappresentati, per poi parlare dei personaggi e dei dettagli.
La scelta del mezzo supporta con decisione la trama e l’ambientazione. La scelta di suddividere un film in parti, ciascuna con il proprio nome, rispecchia bene alcuni canoni tradizionali del cinema nipponico, una scelta che accomuna anche la colonna sonora estremamente efficace.
È interessante anche, come specificato all’inizio della pellicola, l’aver deciso di mantenere in giapponese la voce degli umani, scegliendo invece di tradurre i dialoghi dei cani nella lingua del paese di distribuzione, che poteva sembrare un rischio ma che invece non lede in nessun modo alla comprensione della trama.