Dal 19 aprile è disponibile su Netflix Lo Spietato, film diretto da Renato Demaria con Riccardo Scamarcio nel ruolo di un criminale senza scrupoli della Milano da bere degli anni del boom economico, tra auto di lusso, velleità artistiche e aspirazioni imprenditoriali. Tutto infarcito con una scia di efferati omicidi.
Un flashback lungo 30 anni
La storia è narrata dallo stesso protagonista, Santo Russo (Scamarcio), e copre un lungo e intenso trentennio in cui il figlio di un piccolo criminale calabrese rinnegato emigra con la famiglia a Milano, città in cui si trasformerà in un ricco boss. Con l’anima sospesa tra le origini contadine di parvenu della malavita e homo novus con attico vista Madunina, Russo narra la propria ascesa – o discesa – dalla permanenza casuale in un carcere minorile al traffico di droga, diviso tra due donne che rispecchiano il proprio conflitto interiore. Da una parte la moglie calabrese (Sara Serraiocco), devota sposa e madre che lo aspetta nella casa di periferia, e l’amante francese (Marie Ange Casta), artista libera e disinibita che riunisce il jet set altoborghese nell’appartamento in città. Il quadro si completa di amici criminali, soprattutto Slim (Angelo Praticò) e Michele (Ignazio Oliva), con cui combattere guerre di bande.
Lo Spietato, un autentico poliziesco
La vicenda, tratta dal romanzo Manager Calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo, non brilla per originalità. Lo schema narrativo proposto è quello che fa da comune denominatore per le storie ascritte al genere poliziesco: un’ascesa criminale, amori e amicizie da tradire per il mantenimento del potere, l’inevitabile resa dei conti. Nonostante la prevedibilità, Lo Spietato si tinge gradevolmente di noir e picchi di ironia che fanno scorrere le quasi due ore di film abbastanza agevolmente, nonostante qualche lungaggine di troppo. Riccardo Scamarcio si adatta molto bene al ruolo e la sua consueta flemma non indebolisce affatto il personaggio, ma anzi evita inopportuni eccessi che mal si sarebbero conformati a un film che, sì parla di crimine, ma non irrompe con la sensazionale efferatezza di altri lavori del genere, come Romanzo Criminale, Suburra o Gomorra.
Altrettanto credibili risultano le figure di contorno, avvocati faccendieri, criminali di ogni estrazione e spessore, perfettamente calati nel ruolo. Lo stesso si può dire delle uniche due donne protagoniste, che ben si adattano al contesto scenico e sottolineano in ogni aspetto della loro caratterizzazione l’interessante dicotomia che investe Santo. Simmetricamente contrapposte nel fisico, nello stile e nelle scelte di vita, entrambe forse più intense negli sguardi che a parole. Perfettamente riuscita invece la ricostruzione degli ambienti e delle epoche storiche: colonna sonora, auto, costumi, luci e fotografia rendono perfettamente le atmosfere degli ultimi tre decenni del Novecento, riprodotte con attentissima cura.
Un racconto di formazione
Lo Spietato è principalmente un racconto di formazione, scevro da problemi etici e questioni di coscienza, di cui sono le confidenze del protagonista e soprattutto la sua ambizione a costituire il fulcro, più che le azioni criminali. Da subito infatti Santo Russo mette al centro della propria vita la voglia di riscatto, il desiderio di trasformarsi in un ricco imprenditore, così abbagliato dal “sogno milanese” da non esitare ad aprirsi la strada a colpi di pistola. Un sentimento di rivalsa che lo contrappone, lui, il figlio di un piccolo criminale fallito, al vertice di un sanguinoso mercato dominato dai membri di solide famiglie di malavitosi.
Quella di Santo Russo è una trasformazione che sottende un certo odio per le proprie origini, come sottolinea giustamente la moglie Mariangela nel corso di una seduta psicanalitica, ma che non è abbastanza per farlo integrare appieno nel mondo a cui vorrebbe appartenere. Ed è questo lo spunto più interessante di uno script prevedibile, pienamente fedele ai canoni del poliziesco, senza sorprese e volutamente non troppo attento ad approfondire oltre i desideri di Santo e le sofferenze di Mariangela. Comunque godibile, ben diretto da Demaria e sostenuto dal cast, il cui maggior pregio è senza dubbio l’ironia, che non abbandona neppure gli istanti finali del film. Un buon punto per la produzione italiana Netflix, che fa ben sperare per i prossimi annunciati arrivi.