I film sui supereroi sono maturi, Wolverine forse anche troppo in Logan, splendido epilogo (?) della saga spin-off degli X-Men che negli anni ha probabilmente superato in popolarità e spesso qualità anche la serie regolare, ultimamente tornata nei cinema con Apocalypse. E tutto questo è dovuto non solo all’appeal del personaggio Wolverine, ma anche e soprattutto al geniale Hugh Jackman, l’attore australiano che è in pratica diventato un vero Wolverine anche nella vita reale, impersonandosi del tutto nel suo ruolo con allenamenti esasperanti e una brillantezza contagiosa.
Le tematiche degli episodi dedicati al mutante più conosciuto – e dal passato più terribile – sono sempre state decisamente diverse da quelle della serie principale. Se dalla parte del team di ex-studenti molto dotati si gioca con linee temporali, apocalisse e antiche divinità egizie, i toni degli ormai tre lungometraggi dedicati a Wolverine sono più cupi e introspettivi, concentrandosi sulle pene di un personaggio che ormai ha superato in profondità qualsiasi altro nella storia dei cine-comic, rivaleggiato forse solo dall’Iron Man di Robert Downey Jr. Logan, in arrivo nei cinema italiani il 1° marzo, vuole chiudere la storia dell’eroe che esordì quasi in sordina in un numero dell’Incredibile Hulk nell’ormai lontanissimo 1974 e porta questo concetto agli estremi, regalandoci un film sui supereroi come non se n’era davvero mai visto uno.
Diretto da James Mangold, già all’opera nel buon Wolverine – L’immortale, Logan è ambientato nel 2029 (ultimo in termini cronologici dei film X-Men) e vuole quindi chiudere il cerchio e consegnare ai posteri l’ultima dura storia con Jackman/Wolverine, potenzialmente lasciando ai “giovani” Fassbender, Lawrence e McAvoy il compito di continuare la vita in cellulosa del franchise. E la novella con cui Logan si congeda dalle scene è la più cruda e “reale” mai vista in un cine-comic.
Siamo nel 2029 e Wolverine ormai vive da fuggiasco, sotto mentite spoglie, tirando avanti facendo l’autista di Limousine nel sud degli Stati Uniti. Alcolista, rabbioso, sofferente, ha accumulato sulle sue imponenti spalle di adamantio anni di battaglie, di dolori e di fughe – dopo la scomparsa di tutti i mutanti dal pianeta – nascondendosi come può tra la gente comune. Non è solo tuttavia; un altro ex-eroe, ancora più vecchio e malandato, si nasconde nell’ombra di una cisterna d’acqua in rovina: proprio quel Charles Xavier (Patrick Stewart), unico altro sopravvissuto della strage dei mutanti. La loro vita prosegue problematica ma relativamente tranquilla fino a un giorno, quando Logan incontra una bambina ricercata da un gruppo di militanti, con la quale scopre presto di condividere più di quanto si aspettasse…
Senza scendere troppo nei dettagli e lasciandovi scoprire da soli l’intreccio, Wolverine, Professor X e la piccola si imbarcheranno in un viaggio quasi senza speranza per salvare la vita della – molto agguerrita, vedrete – ragazza e per cercare di ridare un senso alla vita di un eroe decaduto, oltre che di un vecchio ormai schizofrenico.
I luoghi che visiteranno, le persone che incontreranno, i nemici che dovranno affrontare, saranno tutti funzionali all’emozionale finale, nel quale il lupo si congederà dalla battaglia. Mangold è molto sapiente nel scegliere inquadrature, attori secondari e situazioni per colpire al cuore lo spettatore a volte emotivamente, tante altre letteralmente, con scene di lotta cruente e concrete, senza paura di risparmiare donne, animali e bambini sulla via del realismo e del dramma.
Coming of Age
Molto The Last of Us, un po’ Mad Max, Logan non pesca nella sua sceneggiatura solamente da altri esponenti moderni della Pop culture e di mondi post-apocalittici, ma affonda le sue radici nei western e nella filosofia On the Road alla Jack Kerouac, con la crudezza di chi non vuole edulcorare nessuna parte della narrazione. Logan farà discutere, non è un film adatto ai bambini (sebbene proprio la sua trama faccia delle nuove generazioni il punto focale) e lascia a chi verrà dopo (Marvel?) l’arduo compito di non sfociare troppo nel carrozzone di effetti speciali, eroi senza macchia e storie epiche da poema cavalleresco che fin troppe volte ha costituito il canovaccio dei cine-comic.
Logan ci ha ricordato moltissimo, nelle intenzioni quantomeno, il discusso (anche dal sottoscritto) Batman v Superman: Dawn of Justice di Snyder, d’attualità circa dodici mesi fa; sebbene rappresenti forse un esempio di cosa mancasse al comunque coraggioso film DC Comics per raggiungere non solo il successo al botteghino, ma anche quello della critica. Logan è un film completo, coraggioso fino in fondo e che abbandona la grandeur, la sospensione dell’incredulità per raccontare qualcosa, un elemento che i due supereroi col mantello di Snyder hanno decisamente ignorato, volendo risolvere la loro tenzone a tarallucci e vino sotto alla coincidenza di un nome e di una battaglia contro un grosso nemico che spara cose grosse, con le tette grosse di Wonder Woman che volteggiano per la scena. Mangold non ha poi confezionato un vero capolavoro se vogliamo, in quanto la seconda metà del film, dovendo giungere forzatamente all’atteso epilogo, anch’essa manca di una scossa finale per portare Logan nell’Olimpo di Hollywood, tuttavia il risultato finale rimangono circa due ore di emozioni, brutalità e crudezza che ci ricorderemo per tanti anni.
E, per finire, Grazie Hugh. Ti sei divertito tu – è evidente – ma ci siamo divertiti tanto anche noi.