C’era forse bisogno di un sequel di Man in the Dark (Don’t Breathe) di Fede Alvarez, intitolato L’uomo nel buio? Certo che no. Eppure il film è stato fatto. Il primo film, bene o male, poteva avere delle intuizioni interessanti, con il suo reduce dell’esercito americano rimasto cieco e diventato un vecchio psicopatico, una sorta di Daredevil cattivo. Questo film, invece, è un revenge-movie che arraffa dove può dai soliti chiché dei film d’azione americani. Diretto da Rodo Sayagues, già sceneggiatore del primo capitolo e de La Casa sempre dello stesso Alvarez, L’uomo nel buio si svolge otto anni dopo gli eventi del primo capitolo.
Questione di paternità
Se nel film precedente il nostro Norman Nordstrom (un palestrato Stephen Lang), aveva un “innato senso di paternità”, tanto che voleva stuprare e fecondare le sue vittime femmine coi campioni del suo seme nascosti nel suo laboratorio segreto, in questo film è lui stesso a trovare una bambina ed adottarla. Il problema allora qual è? A parte quello che un assassino, senza apparenti precedenti penali, faccia da padre ad una bimba innocente? Il problema sta proprio nel fatto che questa bambina, battezzata Phoenix, è figlia di genitori ancora più cattivi. Sono loro infatti a darle la caccia per poterla riportare in famiglia e permettere (leggete bene) che lei possa donare con la forza il suo cuore per la madre malata. Eh sì, perché i genitori di Phoenix sono due grandi spacciatori di un famigerato “prodotto” le cui emissioni tossiche hanno fatto gravemente ammalare la madre, che adesso necessita di un cuore nuovo. E dove prenderlo quindi, se non dalla figlia prontamente custodita da un vecchio cieco, ex-psicopatico?
L’ora della vendetta
L’esordio alla regia di Rodo Sayagues gli permette di fare il buon compitino nel lavorare su scene d’azione e atmosfere di tensione. Peccato che, oltre al pessimo comparto sonoro (in un film che si chiama Don’t Breathe 2, ci si aspetta che il suono sia tutto!) le coreografie non siano un granché; solo alcune intuizioni interessanti, ma riciclate dal film precedente. La fotografia gioca su contrasti di toni caldi e freddi, alternandosi da colori accesi come rosso e arancione fino a blu notte intensi. Niente di nuovo all’orizzonte. Così come nulla da aggiungere alle interpretazioni, in cui gli scagnozzi scagnozzeggiano, e il nostro Stephen Lang a volte si ricorda di essere un invalido e quindi di fare il cieco.
Qualche elemento horror
Ma fa paura? Vi chiederete. Il primo film poteva inquietare per la sua idea di fondo veramente ben giocata. Nella casa di un cieco, ex-militare, al buio. Mentre questo film, che parte come slasher e d’azione, tuttavia cerca di mantenere delle tonalità horror anche molto fuori luogo, dove non sono richieste. Senza spoilerare: in una scena in cui Phoenix rincontra sua madre, c’è inutilmente una tensione creata da un controluce inquietante, che viene poi smorzato dal resto dell’azione. Perché dunque mantenere questi toni orrorifici se, senza dire troppo, alcune premesse di base potevano essere giocate con abilità? Questi sono solo alcuni dei quesiti che L’uomo nel buio ci lascia.
Purtroppo il film non ha una sua solidità, è l’ennesimo sequel richiesto dai pochi fan affezionati che ogni volta fanno ascoltare tossicamente la loro voce ad un botteghino sempre più opprimente. L’uomo nel buio inoltre, nasconde in sé una domanda di moralità veramente importante. È così facile per lo spettatore medio perdonare un assassino e stupratore ai fini di un seguito di redenzione? E soprattuto, è così semplice legittimare una bambina di otto anni ad assistere e commettere omicidi? Si spera che questo film non sia un ennesimo ritratto dell’America in divenire.
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