Che cos’è la normalità? Esiste un concetto univoco e universale di normalità? Fin da quando siamo bambini la società ci ha abituati e cresciuti con alcuni “compartimenti stagni sociali” attraverso cui poter facilmente identificare il prossimo senza troppo approfondirlo. Eppure la normalità è un concetto così complesso e relativo che anche il semplice tentare di spiegarlo conduce a una deriva che non trova davvero alcuna risposta assoluta. Dal punto di vista della psicologia e della convivenza civile ecco che il concetto comincia ad assumere alcune caratteristiche che potremmo definire “chiare” senza però mai dimenticare che tutto deriva dal contesto di appartenenza e di azione. Una cosa che a noi potrebbe sembrarci “anormale” magari altrove non lo è e viceversa. Potremmo addirittura ridurre tutto quanto ancora di più racchiudendolo semplicemente negli occhi di chi guarda e percepisce la realtà intorno a sé. La normalità come concetto universalmente riconosciuto non esiste, esiste piuttosto una lettura ampiamente riconoscibile del modo in cui ci si dovrebbe comportare ed essere in pubblico. Ecco, bisogna ricordarsi di tutto ciò mentre si guarda e analizza Marylin ha gli occhi neri, film diretto da Simone Godano, uscito in sala il 14 ottobre del 2021 e recentissimamente approdato su Netflix.
Quelli Normali
Una frase – presente anche nel trailer – potrebbe tranquillamente essere presa come chiave di lettura del film: “Pensano di aver ragione solo perché sono di più, quelli normali”. Questa particolare frase viene pronunciata da uno dei due protagonisti del film, Diego (interpretato da Stefano Accorsi), in uno dei momenti più silenziosamente intimi dell’intera pellicola. Una semplice frase, pronunciata in un momento qualsiasi, che però diventa immediatamente indelebile nell’insieme concettuale che l’opera costruisce a livello di sceneggiatura. La diversità è un argomento che il cinema da sempre tratta e ha trattato, in Marylin ha gli occhi neri l’argomento ritorna da un punto di vista abbastanza fresco che non rinnova la riflessione ma semplicemente la rimette in tavola. È il modo in cui la scrittura generale presenta il proprio materiale a colpire, con una struttura narrativa che non banalizza mai i suoi personaggi, la loro vita, la loro visione del presente e le loro paure e imperfezioni (Alla sceneggiatura insieme al regista troviamo Giulia Steingerwalt).
Al fianco di Diego troviamo Clara (Miriam Leone). Loro sono i protagonisti e le colonne del film, sono la voce a urlare nei corridoi spogli di una società che parrebbe non vederli. Sono entrambi l’antitesi del protagonista perfetto e proprio per questo funzionano, perché neanche loro conoscono fino in fondo il peso delle proprie azioni e scelte, disegnando un percorso che saranno i primi a viversi fino in fondo. Da una parte quindi troviamo Diego, un abilissimo chef sulla cinquantina, conosciuto nel settore e sopratutto temuto per il suo carattere e approccio alla routine. Maniacalmente metodologico, ordinato, follemente rabbioso, patologico e pieno di tic, dall’altra troviamo Clara, una bugiarda patologica e mitomane pronta a negare agli altri e anche a se stessa la realtà che la circonda. Entrambi entreranno in contatto grazie al Centro Diurno che frequentano, più nello specifico grazie al gruppo di terapia a cui entrambi sono stati assegnati. A inserirli in quello specifico gruppo è stato il dottor Paris (Thomas Trabacchi), psicologo specializzato che ha colto sia in loro che negli altri utenti qualcosa, al punto da riunirli insieme. L’obiettivo è quello di tentare di reinserirli in società passando anche attraverso alcune particolari attività ricreative (come la cucina ad esempio). Da ciò l’idea di dare vita a una sorta di “mensa” in cui lavorare tutti insieme. Questo darà il via al tutti gli eventi che trasformeranno questa piccola attività in qualcosa di molto più grande e fantasioso.
La paura del diverso
Marylin ha gli occhi neri è un film che riflette principalmente sul modo in cui il prossimo guarda al “diverso”, sull’approccio che ha con lui e sulle varie chiavi di lettura che ne possono derivare. Ne fuoriesce una pellicola che conosce bene il proprio contesto, valorizzato ulteriormente dalle interpretazioni dei suoi due protagonisti sempre in parte fino alla fine. Fiore all’occhiello del film sono infatti i momenti in cui la macchina da presa si concentra, anche con particolari primi piani, sulla specificità di ognuno dei due, tirando fuori due ritratti che all’inizio incuriosiscono per poi inevitabilmente coinvolgere nelle varie vicende. Aldo e Clara sono il punto di partenza da cui il potenziale stesso del film si origina e prende forma, delineando un viaggio in cui sarà anche il mondo stesso ad essere messo in esame, non tanto loro due. Stiamo pur sempre parlando di due protagonisti rotti, sia dentro che fuori, disegnati da un passato non troppo preciso, e ben lungi dall’essere un giorno facilmente catalogabili. Partendo da ciò Marylin ha gli occhi neri ci parla a cuore aperto attraverso una soggettiva concettuale che si fa intimismo e amore, candore avvolgente per certi versi.
Dal punto di vista formale non c’è invece moltissimo da dire. Il regista si avvale di un tocco che resta quasi sempre impersonale nel tentare d’imbrigliare, figurativamente parlando, i suoi personaggi, con piccole cadute di stile disegnate comunque sempre da una regia piuttosto semplice e lineare, accompagnata anche da un buon ritmo.