Tornano gli appuntamenti anime al cinema con Mirai del maestro Mamoru Hosoda; grazie alla collaborazione tra Dynit e Nexo Digital dal 15 al 17 ottobre sarà possibile vedere nelle sale italiane la nuova opera del regista de La ragazza che saltava nel tempo, Summer Wars, Wolf Children e The Boy and the Beast.
Ricercando l’amore genitoriale
Kun, il bambino protagonista della storia, vede i suoi genitori tornare a casa con una sorellina che cambierà per sempre gli equilibri a cui era abituato, sottraendogli dei punti fermi della sua vita.
La piccola Mirai richiede cure ed attenzioni costanti dalla madre che deve dividersi tra lei ed il marito, al quale sta insegnando ad essere un perfetto casalingo in vista del ritorno a lavoro della donna.
Kun, con i suoi occhi da bambino, non comprende la situazione in casa e la graziosa Mirai diventa l’oggetto del suo odio, perché convinto che lei le sottragga tutto l’amore e le attenzioni di mamma e papà, i quali non sembrano mai aver tempo per lui.
Quando la rabbia di Kun esplode e corre nel giardino di casa, l’elemento sovrannaturale entra in scena: il bassotto di famiglia prende forma umana e inizia a dar voce allo stato emotivo di Kun. Il cane era il principe della casa, al centro di ogni attenzione, finché non è nato Kun che ora si ritrova a vivere la stessa condizione a cui il bassotto è dovuto venire a patti nel tempo.
Il piccolo Kun non capisce bene sè stesso ed i suoi sentimenti però; l’unica cosa che può fare è esternare le sue emozioni e quando esse si ritrovano liberate nel giardino, quel piccolo spazio verde che ospita solo un albero, si trasforma in un luogo al di fuori della realtà.
Se la prima volta che Kun manifesta la sua frustrazione riesce a vedere il suo cane in versione antropomorfa, la seconda volta che si sfoga in giardino c’è un incontro inaspettato: Mirai scompare dal suo seggiolino e si presenta davanti a lui con l’aspetto di un’adolescente con una richiesta per il suo futuro. Suo fratello sembra non voler accontentare la sorella, anzi, le dice chiaramente che la odia, ma la cose potrebbero cambiare proprio grazie a surreali avventure che andranno a rappresentare le prime grandi sfide nella vita di Kun.
Una storia di crescita e simboli
Mamoru Hosoda ha presentato il suo nuovo lavoro in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2018, durante il quale ha esplicitato che Mirai è un’evoluzione della sua ricerca artistica; se le sue opere precedenti hanno trattato dell’adolescenza, della famiglia, della sfida dell’essere genitori, con Mirai abbiamo una storia sull’infanzia in cui il protagonista ha bisogno dell’amore della sua famiglia che c’è, ma lui non riconosce.
Kun ha solo quattro anni, è cresciuto in una realtà egocentrica e l’arrivo della sorellina rappresenta la sua prima sfida, il suo primo contatto con la realtà che viene fatto per mezzo di una narrazione fantastica.
La storia è estremamente realistica ma con l’insorgere della prima difficoltà si apre a ventaglio su uno scenario visionario, onirico che non è pura fantasia e neanche fuga dalla realtà: è neorealismo.
Non c’è un salto d’originalità per il maestro Hosoda, piuttosto una crescita che porta con sé i frutti, lo stile, le tematiche, gli espedienti narrativi già incontrati nei film precedenti: c’è il realismo e c’è la risoluzione fantastica, ci sono animali antropomorfi, viaggi temporali, genitori imperfetti che cercano di fare del loro meglio e un bambino che che sta crescendo e deve trovare in primo luogo se stesso.
Sarebbe però un errore pensare che Mirai sia un’opera di tematiche riproposte secondo una formula testata per un prodotto di successo, in quanto si denota comunque una maturazione artistica, con qualche timida sperimentazione per un regista che ha sempre fatto animazione in modo classico e il cui sviluppo artistico in Mirai è votato al sottrarre anziché arricchire.
Tipico della cultura nipponica, della poetica haiku, della pittura nihonga, il lavoro di Hosoda si fa carico dell’esperienza passata esprimendola in una forma più essenziale, leggera. Nessuna avventura con adrenalina, assente azione hard-boiled, non ci sono spiriti eroici, nessun dramma strappalacrime e soprattutto niente vanto tecnico con animazioni 3D finalizzate al consenso entusiasta del pubblico. Il cinema che ci propone Hosoda è lontano dalla sensibilità di un Makoto Shinkai (Your Name) quanto dal sensazionalismo di un Kōbun Shizuno (Godzilla – Il pianeta dei mostri), forse si avvicina molto al gusto tradizionalista di Sunao Katabuchi (In questo angolo di mondo) ma senza la forza drammatica dei suoi contenuti.
La piacevole leggerezza di Mirai non è forse apprezzabile da un vasto pubblico, c’è un lavoro di sintesi che va interiorizzato, quanto un forte simbolismo da interpretare. Guardandolo, alla fine, sembra di aver visto un film animato ispirato a The tree of life di Terrence Malick, con meno manierismo e più concretezza, ma le analogie sono forti per essere semplici coincidenze.
Ogni superficie è simbolo e non solo elemento di design per Hosoda, per questo è impossibile semplificare il film e basarsi solo sui contenuti espliciti, esattamente come ogni fiaba ha qualcosa in più da raccontare tra le righe. In Mirai il fatto stesso che la sorellina di Kun abbia un nome che richiama al futuro (Mirai significa futuro) è la meta a cui Kun deve arrivare crescendo, tra delusioni, cadute, capricci che non solo il giardino raccoglie. La curiosa architettura della casa di Kun – lo scenario principale in cui si svolge la vicenda – è caratterizzata da scale onnipresenti che collegano diversi livelli, la struttura dell’abitazione è molto curiosa, al punto che si può pensare a quelle ostiche scalinate come metafore delle difficoltà emotive vissute dal bambino; esse minano l’equilibrio dei passi di Kun, ma sono necessarie da percorrere per arrivare agli altri livelli. Non sembra casuale che Kun appaia all’inizio del film nel livello più basso della casa fino a nascondersi al piano più alto durante l’ultimo arco narrativo.
Gli shinkansen – i treni ad alta velocità conosciuti come treni proiettili – sono per i giapponesi simbolo del futuro e del progresso, e non è casuale che essi siano i giocattoli preferiti di Kun, per i quali ha una vera fissazione. La presenza di quei treni rappresenta la certezza di una storia proiettata sul futuro che mai si guarda indietro, come la crescita non può accettare la regressione.
Una struttura narrativa solida, un ritmo ben scandito tra gli archi narrativi, punti fermi, simbolismo mai troppo ambiguo sono la conferma di un lavoro ben riuscito, ma anche di un discorso artistico che procede sicuro muovendosi su pattern conosciuti creando qualcosa di nuovo, pur conservando la tradizione e senza mai dimenticare le sue origini. La pellicola richiede riflessione, quanto di prenderla con la stessa leggerezza e positività che vuole dichiarare, invitando il presente a non dimenticare il fascino di un’animazione vecchio stile che non vuole essere rivoluzionaria, ma non può – e non deve – essere dimenticata.