In un quartiere devastato dallo spaccio di droga, Chiron sembra vivere una vita al margine, chiuso in mille silenzi e incatenato da paure e sentimenti discordanti, combattuto tra quello che è e quello che dovrebbe essere.
Diretto da Barry Jenkins, Moonlight fa il suo debutto come film d’apertura nella selezione ufficiale dell’undicesima Festa del Cinema di Roma.
Una vita difficile
Juan (Marescha Ali) è conosciuto da tutti nel suo quartiere, sa come funzionano le cose dalle sue parti e lui come altri fa parte di quel sistema. Un giorno come un altro trova un bambino nascosto in una casa abbandonata, o meglio una “casa per drogati”: è così che conosciamo il vero protagonista della vicenda.
Chiron, è un bambino smilzo, taciturno e insicuro, sempre preso di mira dai suoi coetanei, a casa non vive bene e da quando conosce Juan ogni tanto si rifugia a casa della sua ragazza, Teresa (Janelle Monàe), che giocherà a fargli da seconda mamma, dato che la vera madre, Paula (Naomie Harris) non è mai molto presente.
Juan diventa suo malgrado un padre putativo per il ragazzo, la cui immagine lo accompagnerà fino all’età adulta.
Tre nomi
Il film è diviso in capitoli, uno per ogni nome che contraddistingue una fase della vita di Chiron. All’inizio lo conosciamo come Little (Alex R. Hibbert), chiamato così da tutti per la sua corporatura minuta, poi sarà Chiron (Ashton Sanders) un adolescente confuso in cerca della sua strada. Infine Black (Trevante Rhodes), un uomo che si è costruito un’identità, con tutte le relative conseguenze.
Va riconosciuta la bravura degli attori. Non è mai semplice riuscire ad interpretare un personaggio introverso e taciturno, perché ciò che non si esprime con le parole va tradotto con lo sguardo e con i gesti.
L’inadeguatezza del giovane Chiron nel mondo che lo circonda la si percepisce enormemente con la sua fisicità: le spalle in dentro, il passo incerto, la testa bassa; il ragazzo sembra essere sempre fuori posto, come se non sapesse mai dove deve stare.
Con l’età adulta tutto si complica: Black è diverso dal ragazzo che lo ha preceduto ma la sua inadeguatezza si evolve in maniera più impercettibile ma molto più profonda.
Come già detto, tutto il cast ha fatto un ottimo lavoro. Particolarmente intensa la splendida interpretazione di Naomie Harris nel ruolo della madre, dotata di una presenza scenica non indifferente e un’espressività che emerge prepotentemente dallo schermo.
In continuo movimento
La presenza registica si fa sentire spesso con audaci movimenti di macchina.
Non si possono non notare le riprese a 360° che circondano i personaggi in certi momenti chiave del film. Altro segno di dinamicità lo si trova nelle sequenze girate con la macchina a mano, capaci di trasmettere un senso di frenesia e agitazione, anche se talvolta potrebbero disorientare lo spettatore.
Bellissime anche le scene sul mare, che ricopre un ruolo importante nella vicenda. Di particolare intensità la scena della lezione di nuoto, che si rifà al concetto di nascita e della consapevolezza di se stessi: imparare a nuotare è un po’ come imparare di nuovo a camminare, si acquista coraggio e si diventa più forti. Perché in un mondo come quello di Chiron o si diventa forti o si annega.
Un segreto inconfessabile
Chiron si sente continuamente in conflitto, un conflitto che esplode durante l’adolescenza – un po’ come capita a tutti – inizia a farsi delle domande su sé stesso e sulla propria sessualità.
Si intuisce che il ragazzo si sente diverso dalla maggior parte dei suoi coetanei, ma il bello di questo film è che non tratta di omosessualità, ma della ricerca interiore del proprio io.
Moonlight sfiora molte delle domande esistenziali che tutti quanti ci facciamo almeno una volta nella vita, e con un’inaspettata delicatezza ci mostra un’ombra di quel qualcosa che andiamo tutti cercando ma che non sappiamo né definire, né afferrare.