Per la seconda volta, siamo stati preda degli stati dissociativi del protagonista Elliot Alderson. Ci siamo fatti guidare da una mano invisibile verso i luoghi più oscuri e contorti della sua mente, lo abbiamo seguito, lo abbiamo ascoltato, gli abbiamo creduto. Ma ci siamo dimenticati di una piccola cosa, lui mente. Sempre. Mistero, psicolabilità, machiavellici intrighi mentali, suspense, colpi di scena… Nessuna delusione arriva dalla seconda stagione di Mr. Robot, serie drammatica psycho-cyber-thriller, conclusasi il 21 settembre, con l’uscita dell’ultimo episodio sull’emittente USA Network. Il secondo sforzo del regista egiziano Sam Esmail sembra continuare sulla scia del successo che la stagione madre ha creato dietro di sé.
(ATTENZIONE: SPOILER PRIMA-SECONDA STAGIONE)
Facciamo un passo indietro…
Una New York cupa e grigia riflette l’anima di Elliot, ingegnere informatico di giorno e giustiziere della rete di notte, che vive tra realtà, allucinazioni e crisi di pianto. Veste di nero e porta sempre un cappuccio in testa come se volesse proteggersi dal mondo, un mondo che non sa gestire se non con l’aiuto della morfina. Detesta i social network, l’essere umano, la società. Non è un cattivo, è un diversamente buono. Un eroe non convenzionale che cerca di fare del bene con l’unica cosa che sa fare, hackerare.
La prima stagione ci ha lasciato con una serie di scioccanti rivelazioni sul rapporto tra il protagonista, interpretato da uno spettacolare Rami Malek, e il più navigato Christian Slater che veste i panni del famigerato Mr. Robot. Quest’ultimo si rivela essere il padre di Elliot, morto anni prima, che appare al ragazzo sotto forma di allucinazione. Lui è l’unico a vedere e a parlare con il defunto genitore, che svolge la funzione di suo alter ego alla maniera di Fight Club.
Leader inconsapevole del gruppo anarchico- insurrezionalista Fsociety, vuole affondare la multinazionale Evil Corp (un nome che dice tutto), ritenuta responsabile di un disastro ambientale che ha causato la morte del padre e di altre centinaia di persone. In uno dei suoi vuoti mentali dà il via all’operazione distruggendo la E Corp e l’intero sistema bancario nazionale.
“Il controllo è un’illusione”
La seconda stagione, ci trae in inganno fin da subito. La voce narrante fuori campo è sempre quella di Elliot, che si rivolge allo spettatore come ad un amico immaginario. Ci fa credere di essere tornato a casa di sua madre per cercare di condurre una vita regolare e più ordinaria possibile: sveglia, colazione, pulizie, pranzo… ma non è così. Elliot ci ha mentito e ci chiede scusa per questo. In realtà alla fine della prima stagione la persona misteriosa che ha bussato alla porta di casa sua non è altro che la polizia, arrivata per arrestarlo con l’accusa di aver hackerato l’ex della sua psichiatra. Passa 18 mesi in carcere nella quale si crea un mondo parallelo nel quale rifugiarsi. Il suo “labirinto sicuro”.
La nuova stagione inizia un po’ a rilento, i primi episodi sono incentrati maggiormente sulla lotta interiore tra Elliot e il suo Mr. Robot, quasi da sembrare una seduta psichiatrica infinita, ma non in senso negativo. Ciò mette in luce ancora di più le capacità interpretative dei due attori che riescono a creare intorno a loro un campo di forza che respinge la realtà. Acquistano spessore anche altri personaggi: Angela, irretita sempre più dalla Evil Corp; Darlene, che cerca di mantenere unito il gruppo di hackers in preda al panico di essere scoperti; la detective dell’FBI DiPierro, new entry, che indaga sull’attacco della Fsociety. Quest’ultima, interpretata da Grace Gummer, si rivela subito un personaggio interessante, solitaria, al limite della sociopatia, goffa, ma astuta e intelligente. In perfetta linea con il carattere della serie. Le indagini quindi sono l’elemento che dà una certa spinta alla stagione lenta a decollare.
Superate le prime puntate un po’ statiche ma comunque interessanti, si susseguono una serie di episodi adrenalinici che movimentano le sorti dei nostri terroristi informatici. Il ritmo si intensifica, la suspense cresce e la confusione mentale di Elliot regna sovrana. Chi è che agisce, lui o Mr. Robot? Chi è che comanda? Cerca di disfarsene, di ignorarlo, di assecondarlo, addirittura si riappacifica con lui. Ma il fantasma del suo passato continua a ripetergli che “il controllo è un’illusione”. Come uscirne allora?
La moda anni ’80-‘90
Esmail ci ha dimostrato coraggio e idee ben chiare nelle sue scelte registiche. Un plauso in particolare lo merita per il sesto episodio in cui i primi 15 minuti sono girati come una sitcom americana anni 80, con tanto di special guest, Alf. Una trovata a dir poco geniale.
La fotografia è accattivante, con inquadrature studiate al millimetro, con primi piani decentrati secondo la regola dei terzi o scene perfettamente simmetriche nella loro follia. Il tutto appare statico in superficie ma nasconde nel profondo il caos più totale. Le scene sono girate in una New York vera e reale senza il minimo uso di green screen, uno sfondo più che appropriato per un film dai toni psicotici.
I continui riferimenti alla cultura pop sono evidenti: Elliot sta a Mr. Robot come Jack sta a Tyler Durden di Fight Club, o la totale corrispondenza tra Tyrell Wellyck, giovane ambizioso senza scrupoli, e Patrick Bateman di America psycho (interpretato da un giovane Christian Bale). Sembra quasi di avere dei deja vu quando Tyrell picchia un barbone per la strada o ascolta musica con le cuffiette seduto alla scrivania del suo ufficio, o ancora la cura maniacale per il corpo e gli eccentrici gusti sessuali. In effetti il regista non nega di essersi ispirato a quelli che reputa pilastri della cinematografia ma, se vogliamo dirla tutta, è stato fin troppo fedele nel citarli.
Piovono premi
Il 2016 è un anno fortunato per Mr. Robot: iniziano con il premo miglior serie drammatica (facendo le scarpe al famigerato Game of Thrones) e miglior attore protagonista Christian Slater, ai Golden Globe; continuano con altri due premi ai Critcs Choise Televison Awards e finiscono con un’altra doppietta agli Emmy: miglior attore protagonista, Rami Malek, e miglior composizione musicale per una serie televisiva. Aprirei a questo proposito una piccola parentesi sulle scelte musicali della serie: spettacolari. Il compositore, Mac Quayle (che ha lavorato anche per American Horror Story), è riuscito a creare una soundtrack che spazia da Nancy Sinatra e Neil Diamond, a suoni più onirici come quelli della London Philarmonic Orchestra, a grandi classici come Where is my mind dei Pixies, fino ai suoni psichedelici dei sintetizzatori. La colonna sonora in questo genere di film gioca un ruolo fondamentale perché in grado di evocare emozioni e stati mentali estremi.
Ma ora parliamo di Rami Malek, che ha soffiato il premio ad attori con più esperienza come il dio Kevin Spacey, alla sua prima candidatura agli Emmy per House of Cards. Possiamo dire che Malek è stato anche baciato dalla fortuna, che in questo caso porta il nome di Emmy Rossum (Fiona Gallagher nella serie Shameless) nonché fidanzata del regista Esmail, che lo propose ai casting dopo averlo visto recitare in The Pacific (miniserie del 2010). Sicuramente ha dimostrato di esserselo meritato, regalandoci un’ottima prestazione sul set, vestendo i panni di un personaggio davvero difficile e complesso che gli calza a pennello, forse aiutato anche dal suo sguardo allucinato e ipnotico.
Siamo davvero liberi di scegliere?
La critica sociale è sempre chiara e urla a gran voce: abbasso il capitalismo! Una critica che, ovviamente, investe anche la sfera dei social networks; siamo davvero padroni della nostra vita e della nostra identità? La serie dà una chiara risposta. No. Siamo pedine di un sistema governato dal vil denaro che affama il mondo. Argomenti più che attuali visto lo scandalo WikiLeaks, Edward Snowden, o il caso Anonymous.
Forse la vera grande domanda che ci pone Mr. Robot è: siamo davvero liberi di scegliere?