Il buon George R. R. Martin non ha scritto solo fantasy ma anche fantascienza. I più accaniti fan del corpulento scrittore americano lo sanno benissimo e magari avranno già letto di questo Nightflyers, racconto divenuto adesso una vera e propria serie Netflix.
Gli appassionati di fantascienza, per ora orfani di The Expanse e Altered Carbon, hanno quindi dovuto ripiegare su questa serie in un panorama che ultimamente è un po’ scevro di contenuti sul lato science-fiction, a meno che non si sia anche fan di Star Trek. Nightflyers si configura quindi come la valvola di sfogo della passione di molti possibili fruitori e il fatto che sia una storia scritta da Martin non può che gettare altra benzina sul fuoco delle aspettative. Nessuno si aspettava qualcosa di migliore rispetto a Game of Thrones, questo è certo… Ma nemmeno che si potesse toccare il fondo in questo modo.
Punto di non ritorno
Nightflyers parte da un presupposto molto semplice: cosa accade se si mettono dei personaggi legati in qualche modo fra loro su una nave diretta verso l’ignoto e (forse) verso il primo contatto con una razza aliena? La risposta corretta sarebbe “un bel niente” perciò Martin doveva far diventare saporito un cibo insipido a suon di ambiguità sessuale, visioni, misteri, complotti eccetera. Come solo lui sa fare. Un equipaggio si imbarca in quella che sarà un’avventura che ha ben poche speranze e già qui, fin dall’inizio di questa storia, sorgono i primi problemi.
Il protagonista, Karl D’Branin, parte per questa pericolosa missione con l’intento di salvare la Terra. Sua figlia è morta a causa di un virus, il Celio, e sua moglie si è fatta ricoverare in una clinica per poter seguire un percorso di oblio dei ricordi legati a questa spiacevolissima esperienza. Già qui nasce il primo problema. Per quale motivo la soluzione a una malattia virale dovrebbe trovarsi ai confini del sistema solare? Non ci è dato saperlo, quello che abbiamo sono brandelli di informazioni (Morpheus docet) riguardanti il Volcryn, un misterioso artefatto alieno comparso nel sistema solare che potrebbe contenere la soluzione a questo problema e anche la soluzione al fabbisogno energetico del nostro pianeta grazie all’energia Teke.
Personaggi con crisi di identità
Da qui in poi tutto va in discesa (o in malora) e vediamo i membri dell’equipaggio tentare goffamente di farsi conoscere dallo spettatore. Per dare un’idea della follia che pervade la caratterizzazione di questi personaggi basti pensare a Melantha Jhirl (la statuaria e bellissima Jodie Turner-Smith) che deve avere problemi di sessualità marcati visto che si concede prima a Lommie (Maya Eshet), l’informatica ed esperta di hacking della Nightflyer, per il solo gusto di farsi vedere dalle telecamere del capitano Roy Eris ed arrivare così a fare sesso con lui nella puntata successiva. Lineare e logico.
Ugualmente lineare e logico appare anche il percorso dell’esobiologo Rowan (Angus Sampson) che all’inizio della serie, tramite un flash-forward, vediamo tentare di fare a pezzi l’equipaggio con un’ascia salvo poi tornare alla normale narrazione e vederlo simile a un orsacchiotto che ha perso la testa giusto per cinque minuti e al quale nessuno la fa pagare. O ancora la dottoressa Agatha Matheson (Gretchen Mol) che nella prima puntata si suicida e che nel corso della serie [SPOILER ALERT] scopriamo agisca in questo modo per far cessare la confusione mentale del sensitivo di bordo il quale non riesce a pensare per bene e a essere di aiuto alla missione se la donna non muore.
Nulla ha senso
In Nightflyers nulla ha senso. I colpi di scena sono telefonati e lo sono talmente tanto da rendere interessanti giusto gli ultimi cinque minuti della serie, ma anche lì, alla fine di tutto, ci saranno buchi di sceneggiatura grandi quanto i buchi neri al centro della Via Lattea. Menzione a parte meritano gli effetti speciali che sono esattamente quelli dei primissimi anni 2000 e quindi indietro di una quindicina (buona) di anni. Il sangue in CG (computer grafica) è realizzato talmente male che vi sarà impossibile non ridere di fronte a tanto pressapochismo. La regia di Jonas Akerlund fa il compitino e si perde in infiniti primi piani di cui solo un occhio poco avvezzo al cinema non è in grado di cogliere la ragion d’essere e cioè coprire i setting che sono sempre gli stessi quattro ambienti che girano e girano e girano…
Chi si salverà?
Voi fruitori di certo no. Si salverà chi non guarderà Nightflyers o chi la guarderà per imparare come non si scrive una storia (grazie Martin, sarà per la prossima), come non si gira una serie e soprattutto come non si realizzano degli effetti speciali. La cosa che fa più male però è la trama. Se siete giunti fino a questo punto (cosa di cui dubitiamo) dobbiamo dirvelo: possibile che nel 2019 si debba andare a copiare da Solaris? Il famoso libro di Stanislaw Lem divenuto film grazie ad Andrej Tarkovskij resta insuperato e nemmeno la penna di Martin riesce a raggiungere in questo caso uno dei veri maestri della fantascienza filosofica. Vi diamo un suggerimento quindi: recuperate questo libro e questo film.