In uscita in Italia su Disney+ il 30 aprile, eccoci con la recensione di Nomadland, in anteprima. Il film, Leone d’Oro a Venezia 77 e vincitore di ben due Golden Globe (Miglior Film Drammatico, Miglior Regista) è candidato a ben 6 Premi Oscar tra cui miglior attrice protagonista, Frances McDormand, Miglior Film, Regia e Sceneggiatura non originale per Chloé Zhao.
L’America vagabonda
In sordina, Chloé Zhao, ci racconta l’America vagabonda, che viaggia, che ha perso tutto ed ha deciso di spostarsi in continuazione senza meta. Questa è la storia di Fern, la straordinaria McDormand, che dopo aver perso il lavoro di una ditta in crisi, e dopo la scomparsa di suo marito, è costretta a viaggiare e a vivere in un van. Lavorando saltuariamente per Amazon e varie industrie e fastfood, Fern riesce a tirare avanti, ma non senza nostalgia e curiosità del mondo nomade che le si apre davanti.
Lo sguardo della regista
Senza fronzoli, vittimismo, ma con eleganza, sobrietà e coerenza, la regista riesce a mettere in scena una storia viscerale, profonda e intimista come quella di Nomadland. La fotografia di Joshua James Richards, così contrastata negli interni quanto pittorica nei tramonti e nelle albe, sposa pienamente il ritmo e la narrazione di quest’opera. Le musiche del nostrano Ludovico Einaudi, fanno da accompagnamento malinconico alle suggestive immagini che Zhao ci propone. Primi piani, primissimi piani e molti totali di Zhao ci fanno entrare sempre più nell’anima di questi meravigliosi personaggi, già descritti nel romanzo da cui il film è tratto: Nomadland – Un racconto d’Inchiesta di Jessica Bruder.
Storie di vita e di morte
Un po’ Into the Wild di Sean Penn, un po’ Una Storia vera di David Lynch, il film racconta storie di vita e di morte, anzianità e giovinezza, il ciclo della vita che si ripete. La protagonista è costretta a vivere una vita di arrangiamenti, tuttavia scopre che la bellezza sta nell’approfittare dei momenti che la vita ci propone. Il messaggio che il film intende dare è che non si è mai sfortunati nella vita se ci si adatta e si sopravvive. Fern è sopravvissuta alle sventure della sua vita e viaggiare è l’unica cosa che le è rimasta. Ma il confronto con altre vite, con altre persone, situazioni e luoghi d’America, la aiutano a ritrovare un’essenza diversa della sua esistenza.
On the Road
L’approccio documentaristico di Chloé Zhao, ci dimostra quanto volesse veramente sviscerare l’aspetto più realistico della vita nomade in America. Coinvolgendo attori non professionisti, veri nomadi, andando a girare in luoghi sconfinati e sterminati, dove la desolazione non è solamente esteriore ma anche interiore. I personaggi descritti vivono realmente in questo mondo. Come in una scena del film, in cui la protagonista rimprovera un banchiere, queste persone non scelgono di “mollare tutto” bensì, molte volte, tutto gli è stato portato via e sono costrette a viaggiare e vivere on the road. L’unica conosolazione può arrivare solamente da un confronto con gli altri.
Nomadland scava a fondo dello spettatore, portandolo a conoscere un’aspetto della vita economicamente povera, ma spiritualmente ricca. Un mondo che lo spettatore ignora che vuole ignorare. Uno scenario che apre a molte domande e riflessioni sui veri valori della nostra esistenza. Choé Zhao è riuscita a raccontare questa storia senza scivolare in quello che sarebbe stato senza dubbio un vittimismo. Similmente, questo tipo di narrazione era già stata compiuta da American honey di Andrea Arnold o da Un sogno chimato Florida di Sean Baker. Forse è proprio il caso di dire che il cinema indipendente, che sta prendendo piede nell’America contemporanea, possa essere portatore di valori, più di quanto film ad alto budget dichiarati, si propugnano di fare.