La Pixar difficilmente sbaglia un colpo, questo si sa, ma ci sono volte in cui riesce ancora a superarsi e stupire gli spettatori. Onward – Oltre la magia non sembrava uno dei casi in cui potesse farlo. Nonostante l’esperienza di Game of Thrones, il fantasy cinematografico al giorno d’oggi sembrava un genere destinato a restare indietro rispetto a horror e fantascienza. Esperienze come Macchine Mortali ne sono la prova, anche se nell’abito televisivo, per fare un esempio celebre, The Witcher ha dimostrato di saper attrarre il pubblico ( e aspettiamo di vedere come se la caverà la Disney con Artemis Fowl).
Onward invece non solo non ha deluso le aspettative, ma le ha ampiamente superate, piazzandosi, nell’opinione di chi scrive, al di sopra di buona parte della sua produzione degli ultimissimi anni.
C’era una volta…
… La magia. E fin qui, sai che novità.
Il genitore medio si mette comodo sulla poltrona del cinema, in attesa che Orfeo venga a fargli visita.
Nel mondo di Onward la magia esiste, ma siccome usarla non è semplice e alla portata di tutti, si è persa la volontà e la capacità di tramandarla. Le persone si sono affidate alla tecnologia. Insomma, razze magiche a parte, il mondo di Onward all’inizio della storia non è affatto diverso dal nostro.
I protagonisti della storia sono Ian e Barley, due fratelli che ricevono un dono magico lasciato loro in eredità dal padre morto prima della nascita di Ian, e potrebbe dare loro la possibilità di rivederlo.
Per riuscire a portare a termine la loro missione, i due fratelli dovranno intraprendere un viaggio insieme che sarà tutt’altro che semplice da gestire. A fine film il genitore medio sarà ben più sveglio ed emozionato del previsto, garantito.
Oltre la magia
Onward mette in scena un mondo in cui la magia non è fine a se stessa: è una simbolizzazione del mondo interiore dei protagonisti. Mentre Barley la venera, in quanto rappresenta un passato glorioso, chiaro, epico, Ian invece la evita, restando legato al passato solo attraverso paturnie e blocchi. I due fratelli non potrebbero essere più diversi da ogni punto di vista: Ian è magro, nervoso e insicuro; Barley è massiccio, impulsivo e incosciente. Laurel, la madre, tiene a bada i fratelli e manda avanti la baracca, nel disperato tentativo di sopperire, per quanto possibile alla mancanza del padre.
La magia irrompe nella loro vita come se fosse l’ultima speranza per metterli di fronte ai loro problemi, ma si tratta di un mezzo e non di un fine. La genialità della Pixar risiede proprio nel fatto di fare questo passaggio in maniera originale e, per certi versi, dolorosa. Non è un caso che il regista, Dan Scanlon, sia partito con questo progetto da un doloroso fatto personale: l’assenza di suo padre, morto poco prima della sua nascita, e il ritrovamento di alcune audiocassette dove aveva registrato la sua voce.
Ferite che non guariscono
Quelle di Onward sono piccole rivoluzioni che non si fanno notare. Dal primo personaggio dichiaratamente omosessuale Pixar (la collega del patrigno dei ragazzi) fino a un finale tutt’altro che prevedibile e molto emozionante. Da non trascurare il fatto che si ride dall’inizio alla fine, soprattutto per via del contrasto tra i toni epici di un passato idealizzato e quelli disillusi del presente tanto simile al nostro.
Insomma, la Pixar sta esplorando mondi diversi e nuovi modi per raccontare ferite che non si possono rimarginare, ma che diventano parte di ciò che siamo nel male e nel bene.