A tre anni dall’uscita nel suo paese natale arriva anche nelle nostre sale uno degli ultimi film del prolifero Claude Lelouch, Parliamo delle mie donne.
Si tratta di un film francese, quindi molto lontano dagli standard e dai canoni a cui ci ha abituato sia il cinema nostrano che quello statunitense, da cui siamo continuamente e inevitabilmente influenzati.
Negli ultimi anni le produzioni francesi sono riuscite e ritagliarsi una notevole nicchia nel mercato italiano intraprendendo la via della commedia. Commedia che nel corso degli anni ha assunto un carattere sempre vicino al demenziale, nonostante l’umorismo francese sia sempre più delicato e raffinato rispetto a quello americano. A dare il via a questa spirale di successo è stato il delizioso e pluripremiato Il favoloso mondo di Amélie, per poi proseguire col più leggero, ma di grandissimo successo fra il pubblico, Giù al nord (copiato in modo assolutamente indegno dal nostro Benvenuti al Sud) per poi culminare con Quasi Amici, acclamato sia dalla critica che dal pubblico, ad oggi il secondo film francese di maggior successo di tutti i tempi, dopo proprio Giù al nord.
Il cinema di Lelouch è molto diverso dai prodotti che hanno trovato spazio nei gusti degli spettatori italiani.
I toni e i temi sono molto più seri, la regia più raffinata, molto realista e minimale. Parliamo delle mie donne è un film che pur essendo di nicchia è fruibile dal grande pubblico, in quanto ha intrinseca una chiarezza comunicativa che rende molto semplice approcciarsi a una storia che, probabilmente, se fosse stata raccontata da una produzione di un altro paese, avrebbe assunto toni molto più cupi, pesanti e drammatici.
Il soggetto è lineare: Jacques Kaminsky è un famoso fotografo reporter di guerra, la cui vita è ruotata completamente attorno al suo lavoro, alla sua passione e alle sue macchine fotografiche. Un uomo dalla personalità forte e affascinante, abituato evidentemente a mietere donne senza alcuno sforzo apparente. Donne che però non ha avuto l’accortezza di proteggere dal suo irrefrenabile istinto di conquistatore incapace di mantenere legami, visto che è riuscito ad avere quattro figlie da ben quattro compagne diverse. Figlie di cui si è curato davvero poco oltre ad avere la malsana idea di dare ad ognuna il nome di una stagione.
Alla soglia dei settanta Jacques si ritira in una splendida baita fra le alpi e tenta tardivamente di riallacciare i rapporti ormai logorati dopo anni di indifferenza con tutte le sue figlie. Le quali risponderanno alla sua chiamata solo grazie all’intervento menzognero del più caro amico del loro padre, che con un sotterfugio riesce ad attirarle tutte alla baita.
Il film è estremamente autobiografico (Lelouch ha avuto sette figli da cinque donne diverse) ed ha l’intento di indagare i rapporti genitoriali, anche se quello che ne esce è il ritratto del protagonista, uno straordinario Johnny Hallyday, la cui personalità permea e traina ogni aspetto della sceneggiatura, facendo cadere in secondo piano ogni altro tema che quindi rimane solo accennato. Questo risultato rende comunque il tutto piacevole e interessante, il film non annoia e non risulta pesante, tranne quando scade in apici di drammaticità che stonano e risultano forzati. Tutta la pellicola mantiene un ritmo abbastanza costante, operazione necessaria per portare lo spettatore ad essere del tutto impreparato al colpo di scena finale che però lascia molto interdetti, in quanto fa prendere una piega del tutto inaspettata (e tendenzialmente inadeguata) ai toni generali del film, che riescono a mantenersi fra il riflessivo e lo scanzonato fino al finale.
Nel complesso quindi un film godibile, che però non fa riflettere quanto ci si potrebbe aspettare e sicuramente non è adatto ai gusti di tutti.