Persona 5 The Animation è l’adattamento animato dello studio CloverWorks (una delle nuove realtà della A-1 Pictures) per il fortunato e famoso gioco di ruolo della Atlus per il franchise Shin Megami Tensei.
Il successo riscosso globalmente dal videogame Persona 5 ha portato, dopo un ventennio, una popolarità mai conosciuta al franchise, che gli addetti ai lavori hanno annunciato sarà sfruttata in varie forme per qualche anno, per la gioia dei fans. L’adattamento anime era dunque scontato, soprattutto perché i lavori sono iniziati contemporaneamente allo sviluppo del gioco, prevedendo probabilmente la necessità di far vivere la storia in una nuova forma per il grande pubblico, non solo per i videogiocatori.
Il primo sguardo a Persona 5 – The Animation è stato positivo e ha caricato di aspettative il pubblico, tenendolo con il fiato sospeso in quanto la produzione ha presentato l’anime come una storia diversa, con un’importante divergenza rispetto al gioco. La qui presente ha anche formulato una teoria dopo i primi episodi, intravedendo delle possibilità su piccole divergenze, ma se ho avuto ragione o meno non lo sappiamo ancora: la produzione ha deciso di chiudere la serie con 26 episodi, nel momento del climax, quasi a metà della storia originale.
Considerando le questioni in sospeso e uno speciale televisivo (diverso da un OAV) di fine anno annunciato, possiamo pensare di aver visto una prima serie, perché probabilmente il sequel sarà più corposo e non racchiuso in uno speciale televisivo.
La recensione che state leggendo si basa proprio sui 26 episodi trasmessi, senza spoiler per un eventuale futuro.
La storia: let’s start the game
Non esiste solo la realtà in cui viviamo, ma esiste anche una realtà cognitiva conosciuta come metaverso.
Nel metaverso chi ha una percezione distorta della realtà dà vita a luoghi detti Palace, manifestazioni di tale distorsione dove vivono le shadows (ombre) di demoni ed altre creazioni cognitive, assoggettate al potere del padrone del Palace.
Il cuore di ogni Palace però non è l’individuo da cui nascono, ma il tesoro ben nascosto che, se rubato, può distruggere il Palace e purificare i desideri del soggetto in questione. Allo scopo di punire gli adulti corrotti, un gruppo di adolescenti decide di rubare quei tesori, i Phantom Thieves of the Heart.
I ragazzi riescono ad entrare nel metaverso grazie a una misteriosa app del telefono ed una volta nei Palace combattono le shadows usando il potere dei Persona.
Non tutti possono usare il potere di un Persona: solo coloro che accettano sé stessi e il modo in cui gli altri li vedono, possono – letteralmente – strapparsi di dosso la maschera che darà vita ad un’altra manifestazione di sé stessi chiamata Persona.
Leader dei Phantom Thieves e protagonista della storia è il sedicenne Ren Amamiya (voce di Jun Fukuyama) che inizia la sua avventura nel metaverso poco dopo essersi trasferito a Tokyo.
Ren vive sotto custodia di un conoscente di famiglia, Sojiro Sakura, il quale lo ospita nella soffitta del suo Café Leblanc e vorrebbe avere il meno possibile a che fare con il ragazzo, questo perché il giovane è sotto osservazione per un anno, a seguito di una denuncia per un’aggressione mai commessa. Se Ren vuole ripulire la sua reputazione deve condurre una vita disciplinata, studiare e non creare problemi, ma una misteriosa entità ha in serbo altri piani per lui.
Il cuore di Ren è una prigione a seguito dell’ingiustizia subita, e in quella prigione incontra un misterioso carceriere con le sue attendenti che chiamano Ren, Trickster. Sembrano intenzionati ad aiutarlo ad essere riabilitato, anche se Ren non comprende cosa significhi e non sa perché può usare più Persona. Esplorando il metaverso, stringendo legami preziosi, reclutando (ed aiutando) altri Phantom Thieves forse potrebbe finire la sua riabilitazione?
Nell’era della sovranità dei social media, i Phantom Thieves da leggenda urbana diventano delle celebrità a cui le persone credono, chiedono aiuto e ripongono fiducia, ma contemporaneamente – sulla cresta dell’adorazione – si fa largo un’altra celebrità del web e della televisione che s’interessa ai Phantom Thieves: il principe detective Goro Akechi (voce di Soichiro Hoshi).
Goro è un adolescente prodigio diventato una sorta di idol grazie al suo fascino, le partecipazioni a vari programmi televisivi, nonché i suoi profili web che lo rendono una sorta di influencer. Dopo essersi distinto in alcuni casi particolarmente difficili e dopo aver collaborato anche con Naoto Shirogane (il primo principe detective, che qualcuno conoscerà bene se ha visto o giocato a Persona 4), la sua popolarità di detective è ricercata lì dove si può mostrare il suo bel volto ed influenzare positivamente i giovani al senso della legalità. Diversamente da Ren e i suoi amici – dei puri outcast – Goro è un ruolo modello, una speranza per il futuro in una Tokyo che è sempre più corrotta e poco sicura, dove strani collassi mentali sono all’ordine del giorno, dove dei fuorilegge sono il nuovo simbolo della giustizia.
Goro Akechi è il nemico naturale dei Phantom Thieves e in una diretta tv annuncia che sarà lui ad arrestarli. Poco male, se non fosse che il detective è un frequentatore abituale del Leblanc, particolarmente interessato a fare di Ren il suo assistente, nel sogno di essere i nuovi Sherlock Holmes e John Watson?
Un adattamento solo per fan?
Persona 5 The Animation apre mostrando Ren nelle sue vesti da Phantom Thief (codename: Joker) che viene arrestato a seguito di un’imboscata. Isolato, picchiato, drogato, viene interrogato dal procuratore Sae Nijima, con la quale ricostruisce la storia dal suo arrivo a Tokyo e l’inizio dell’incredibile avventura che sta conducendo Ren verso un destino crudele.
Questo incipit dovrebbe lasciar intuire che la narrazione degli eventi non è ordinaria, difatti P5A (nome dato per indicare la serie anime) è caratterizzato da salti temporali, narrazioni che si dilungano o sintetizzano a seconda delle necessità, altre che sembrano estemporanee agli eventi; alcune fatte dal punto di vista di Ren ed altre dal punto di vista di altri personaggi. L’effetto è molto confusionario e potrebbe essere scoraggiante, oltre a dare la sensazione che voglia escludere chi non ha giocato, mirando solo a un pubblico di giocatori, ma non è così. Il gioco stesso presenta una simile narrazione che lascia incerti e storditi sull’agire, su quali scelte fare o non fare; ci sono meno salti temporali nel gioco e più sorprese, ma proprio per questo l’anime si rivela un’opera più chiara, capace di accompagnare lo spettatore e facilitarlo nel ragionamento senza banalizzare la storia.
Un confronto necessario
Parlare del confronto tra opera originale ed adattamento si rivela necessario a questo punto, prima di approfondire altri aspetti (positivi e negativi).
Chiunque ha completato la visione dell’anime (senza aver giocato) non sentirà di esser stato agevolato nella comprensione degli eventi; lasciato con molti dubbi ed insoddisfazione, il giudizio lapidario del brutto adattamento sarebbe comprensibile. C’è da difendere però questo prodotto – non perfetto – che risulta un buon adattamento, fatto con cognizione di causa, integrativo per i gamers e molto rispettoso nei confronti di un pubblico nuovo.
Adattare ad anime (20 minuti circa ad episodio) un gioco di oltre 100 ore, che fa vanto di una trama complessa e da diversi finali, caratterizzabile attraverso le scelte del giocatore (che non variano però la sceneggiatura, se non nei momenti cruciali) ed i rapporti che decide di avere o approfondire, non è una base facile su cui lavorare: è una vera e propria sfida, che implica inevitabilmente sintesi e rimozione. Tolte le parti giocabili, accennati appena i rapporti con i personaggi secondari, una scrematura è stata fatta e si è sacrificato tanto, l’opera è stata ridimensionata, ma si può parlare davvero di impoverimento?
Il terrore di un lavoro grossolano, sorretto da fanservice e azione, era dietro l’angolo, ma si è evitato.
C’è stata una riflessione su come presentare il lavoro e come renderlo accattivante, diverso, anche per gli stessi fan che si sono ritrovati non un riassunto versione anime, ma un’opera integrativa. Sono stati presi i punti fondamentali dell’opera e si è pensato di concentrarsi ed approfondire essi, piuttosto che le parti liberamente giocabili, a favore del rendere i personaggi credibili, i rapporti solidi, puntando molto sull’aspetto thriller. Non manca la leggerezza, non manca il fanservice, ma in un tessuto narrativo ricco di mistero, di tensione e investigazioni, ne esce fuori un buon bilanciamento.
Forse il torto maggiore è stato fatto al protagonista: nell’opera originale è il giocatore, quindi si è assolutamente centrali in ogni momento, mentre tentando di fare la stessa cosa nell’anime, il risultato porta Ren da un ruolo attivo ad uno passivo.
Il protagonista è un personaggio interessante ed affascinante, a prescindere dalla caratterizzazione che il giocatore può dargli c’è un profilo che si può intravedere, c’è un personaggio che si può distinguere. Purtroppo Ren – seppure facile da amare – esce indebolito dalla trasposizione per dare spazio ai suoi amici, a Goro Akechi (il vero trascurato del gioco), deludendo forse le aspettative di chi aspettava un protagonista più incisivo. Nonostante questo, sull’importante rivista d’animazione giapponese NewType, Ren Amamiya è stato scelto come personaggio preferito degli anime della stagione estiva.
Sarà il fascino del personaggio taciturno e misterioso?
I veri peccati
C’è poco da discutere sui contenuti dell’anime: si è fatto il possibile e l’impegno si nota, quanto si capisce che c’è stata cura nella sceneggiatura di Shinichi Inotsume (Akatsuki no Yona; Gangsta) che lascia la giusta confusione, un buon sottotesto (sconsigliato ai pigri) ed indizi vari per ricostruire il puzzle.
Purtroppo è vero che Persona 5 The Animation è stato campione di meme, facendo mettere mani nelle capelli anche ai meno pignoli riguardo le animazioni.
Personaggi degni compari di Slenderman, errori elementari nella disposizione delle scenografie, accessori che compaiono e scompaiono, primi piani che sfigurano i personaggi. Sembra incredibile che questo anime abbia avuto investimenti importanti, in quanto in ogni episodio troviamo delle cadute di stile degne di un team alle prime armi. Purtroppo è un fenomeno sempre più diffuso nell’animazione giapponese contemporanea: non preoccuparsi della qualità solo per inserirla in un secondo momento nei Blue-Ray e DVD, grazie agli incassi dei preordini di tali prodotti. Sono operazioni comprensibili per i budget limitati, ma anche vizi che finiscono per invalidare un prodotto potenzialmente ottimo e questo è quello che è accaduto a P5A.
Tra il mare di animazioni orribili e trascuratezza generale, vediamo scene in cui il character design (di Tomomi Ishikawa) lascia senza fiato per la bellezza, vediamo animazioni dal 3D sofisticate e non macchinose e nel complesso ci sono sequenze animate estremamente fluide ed accattivanti, un lavoro degno di lode e che sembra incoerente, in quanto è facile che dopo aver raggiunto un picco artistico, arrivi una caduta imbarazzante. Questo altalenare di qualità è il vero peccato della serie e ne influisce sul giudizio complessivo, spiazzando anche nei riguardi della regia ad opera Masashi Ishihama uno dei migliori registi ed animatori del settore, che ha anche lavorato al fianco di Mamoru Hosoda come capo dell’animazione in La ragazza che saltava nel tempo.
Ishihama ha personalità, cerca di andare oltre l’adattamento, tentando di aggiungere qualcosa in più e credendo nell’intelligenza del pubblico di P5A; potenzialmente la sua direzione fa la differenza nell’anime, ma purtroppo non c’è un coerenza lineare che possa affermare una totale devozione al lavoro.
Tra eccellenze e orrori, figurano anche elementi inclassificabili, che cadono nel puro nonsense.
Ci sono richiami al gioco con particolari cut-scene come i cosiddetti All Out Attack, che trapiantati nell’anime, sono del tutto fuori luogo, risultando semplicemente elementi spazzatura evitabili.
Più divertente invece risulta l’insensato impegno verso l’animazione delle opening: teoricamente sono due, Break in to break out e Dark Sun – eseguite dall’eccellente Lyn – ma non sono due i videoclip.
Nella prima opening theme viene mostrato tutto il cast con tanto di nomi, ma dopo tre episodi la siglsa di testa cambia totalmente i contenuti visivi, in una versione più raffinata e con possibili spoiler; essa è la versione che dovrebbe essere definitiva. Non credete sia veramente così: esistono altre due varianti della stessa che sembrano identiche, ma dove in realtà ci sono delle variazioni di tonalità perché – evidentemente – gli staffer non erano convinti del colore. Con il tredicesimo episodio sopraggiunge la nuova opening, Dark Sun, che si presenta come un’insieme di sequenze animate prese dagli episodi precedenti, che toglie i personaggi non ancora comparsi, celandoli (ma non erano già stati svelati?), per poi aggiungerli nelle sigle successive, pian piano che essi entrano nel team dei Phantom Thieves.
La opening definitiva arriva solo al ventiseismo episodio con un videoclip inedito, anticipando il finale che voleva nascondere.
Questa nevrosi tecniche non si possono considerar un difetto, ma rientra nel quadro degli elementi insensati e manieristici che si potevano evitare: qual è il senso di avere sette opening theme diverse? Non credo lo sapremmo mai.
Perdoniamo il tram però, perché tutta la colonna sonora di Shoji Meguro è straordinaria, intelligente, sviluppata pensando ai personaggi e alle loro azioni.
Un buon adattamento dietro un grande lavoro
Bilanciare elementi negativi e positivi di Persona 5 The Animation non è facile: ci sono terribili difetti, quanto eccellenze notevoli, si deve decidere a cosa dare più peso.
Sicuramente risulta notevole l’impegno di prendere il soggetto originale, toccarlo con mano, scomporlo e metterlo al servizio di una narrazione personale ed accattivante, in modo da dargli stile e renderlo fruibile come prodotto televisivo.
La mole di lavoro dietro un’operazione del genere è tanta, quanto la certezza di sbagliare qualcosa, per tanto l’errore è da calcolare, il male della sintesi inevitabile. Ci sono opere però che soffrono molto il loro ridimensionamento, perdendo tutto il loro spirito e senso, diventando simboli vuoti; P5A invece riesce a destreggiarsi bene nel suo sviluppo, aggiungendo elementi che rafforzano la storia. Il tocco di classe dell’ultimo episodio è qualcosa che non può lasciare indifferenti, specialmente pensando al futuro della serie (e per ogni aggiornamento in merito, seguite il nostro sito Persona Portal); proprio pensando al futuro della serie però si figura il vero problema dell’anime: dai primi episodi sono stati inseriti elementi propedeutici all’epilogo, invalidanti allo stesso in un contesto in cui si lascia passare del tempo, distanziandosi da quelli che erano elementi brillanti. Si può pensare a un futuro migliore per P5A, ma al prezzo di un gradimento privo d’entusiasmo.
Una cura maggiore nella sua realizzazione, negli aspetti visivi, avrebbe potuto portare la serie su un altro livello, evitando di ammortizzare alle necessarie mancanze. Forse il fandom questo l’ha capito, per tanto l’anime è riuscito comunque ad affermarsi come uno dei lavori più interessanti nel 2018, quanto sicuramente l’anime che ha conquistato la stagione passata secondo molti sondaggi nel Paese del Sol Levante. L’affetto di un fan verso un prodotto a cui è affezionato non è mai da sottovalutare, anche lì dove una sua incarnazione non è totalmente riuscita.