Abbiamo trovato doveroso ritagliare uno spazio per Persona 5 – The Animation, in quanto siamo spin-off di un sito di videogames e nel nostro Network figura Persona Portal. Lo scorso sabato, dopo un’impaziente attesa, è finalmente uscito l’adattamento anime premiato dai gamers nipponici come miglior RPG di sempre su Weekly Famitsu nel 2017.
Un titolo che ha ricevuto recensioni altissime e tanto amore nel mondo videoludico, non poteva che esser prossimo a un adattamento anime, su cui pesa la responsabilità di far giustizia alla storia appassionante di un gioco di oltre 100 ore, di cui una buona parte solo di trama.
La storia dei ladri fantasma
Persona 5 segue le vicende del liceale Ren Amamiya (voce di Jun Fukuyama), un ragazzo che ha sporcato la sua fedina penale e a cui è stato concesso un anno di osservazione: se si comporterà da bravo studente, senza dare problemi, la sua fedina tornerà ad essere pulita. Si trasferisce così a Tokyo sotto la custodia di un amico di famiglia, e dal primo giorno la capitale del Giappone lo mette alla prova e lo porta a confrontarsi con la sua vera natura. Questo lo porterà a diventare un phantom thief, un ladro fantasma, il cui compito è quello di rubare il cuore di adulti dalla distorta percezione della vita.
Cos’è la vera giustizia? Cosa significa fare la cosa giusta? Non è forse sbagliato osservare il mondo decadere e non far nulla per cambiarlo? Ren accetta di essere un animo ribelle e nel farlo attiva la sua Persona, con la quale può affrontare le Ombre degli umani ed entrare in quei mondi distorti chiamati Palazzi.
In una fitta rete di casualità e destino Ren si lega a ragazzi che, come lui, vogliono cambiare il cuore delle persone, e presto i Phantom Thieves diventano gli eroi preferiti di Tokyo e del web. Quello che fanno però non è percepito da molti come giusto, le istituzioni li trovano problematici e il brillante detective prodigio Goro Akechi (voce di Soichiro Hoshi) cerca di scuotere l’opinione pubblica ad aprire gli occhi su cosa sia la vera giustizia, promettendo di essere lui a catturare quel gruppo di criminali.
Sulla corrente e le suggestioni della detective story, si apre un’avventura freudiana di scontri e misteri sovrannaturali di forte carattere politico e sociale, partendo da un incipit molto semplice e drammatico: you are a slave. Want emancipation?
Persona 5 – Episodio 1: I am thou, thou art I
Novembre.
L’anime apre mostrando un ladro scappare da un grosso Casinò: lui è Joker, leader dei Phantom Thieves. Supportato dalle voci dei suoi compagni che lo guidano e ammirano, Joker scappa con in mano una preziosa valigetta e quando la sua fuga sembra esser riuscita, un’imboscata lo sorprende e lo porta agli arresti.
In uno stanzino Joker viene picchiato brutalmente, drogato di massicce dosi di siero della verità, senza alcun riguardo per la sua giovane età. Dopotutto i suoi capi d’accusa sono pesanti: ostruzione alla giustizia, diffamazione, ricatto, possesso di armi e, infine, omicidio. Il procuratore Sae Nijima (voce di Yūko Kaida) vuole interrogarlo, capire davvero cosa c’è dietro, cosa significa essere un ladro fantasma e come si ruba un cuore. L’interrogatorio porta indietro il tempo della narrazione, al passato Aprile, il mese in cui Joker/Ren Amamiya è arrivato a Tokyo come un criminale. Il suo compito era seguire una vita corretta da studente diligente per tornare ad essere un rispettabile cittadino, ma qualcosa è andato oltre ogni previsione.
Nuovo in città, Ren vede cose tra sogno e realtà a cui non sa dare un nome, ma non se ne cura e si dirige al Café Leblanc dove il proprietario, Sojiro Sakura (voce di Joji Nakata), ha deciso di prendersi cura di lui offrendogli una soffitta, poca eloquenza e consigli banali. A Sojiro è stato detto cosa ha fatto Ren (anche se noi ancora non lo sappiamo, potendolo intuire solo da qualche scena), ma non vuole sentire la versione del ragazzo né essere coinvolto; il massimo della loro vicinanza sarà l’indomani, quando lo porterà in visita alla nuova scuola.
In un ambiente polveroso e che ha in parte ripulito da solo, prima di addormentarsi Ren guarda il suo smartphone e trova una app che credeva di aver eliminato nel pomeriggio; la tocca per eliminarla e subito si addormenta, ritrovandosi nella cella di una prigione molto strana, chiamata Velvet Room. Il suo carceriere è uno strano umanoide, Igor, che lo accoglie in uno scenario tra sogno e realtà, visione cognitiva della realtà e della condizione di Ren a cui Igor profetizza la rovina. C’è un modo per evitare la rovina attraverso una riabilitazione, e per questo s’incontreranno ancora.
Il giorno seguente Ren si presenta all’Istituto Shujin e, nel mentre, accade un bizzarro incidente in metropolitana: un treno deraglia dopo un malore del conducente. L’episodio non è che l’ennesimo incidente che scuote l’opinione pubblica. Ren vede quindi sullo schermo di uno smartphone Goro Akechi, detective prodigio idolo delle ragazze. Akechi non è solo un bel visino per la tv, è apprezzato anche dagli adulti che, nei successi del giovane, vedono grandi speranze, un’incarnazione di valori positivi in una società in degrado che ha giovani problematici, proprio come Ren.
Neanche arrivato a scuola Ren sa che la sua fama l’ha preceduto quando incontra Ryuji Sakamoto (voce di Mamoru Miyano), studente dello Shujin al secondo anno come lui. I due si ritrovano a parlare dopo aver visto una bella ragazza entrare nell’auto di un professore della scuola – Suguru Kamoshida (voce di Yūji Mitsuya) – e insieme si dirigono verso la scuola, ma… davanti a loro trovano un castello.
Ryuji è certo di non aver sbagliato strada, ma non sapendo dove sono finiti entra con Ren per chiedere informazioni, scatenando una sequenza di eventi surreali. All’interno del castello delle guardie in armatura li picchiano e li portano in una cella, finché davanti a loro compare incoronato, con mantello da re e mutande, il professor Kamoshida. Senza una reale motivazione, l’uomo decide di condannare a morte Ryuji. Ren, confuso, spaventato, ma incapace di stare fermo a guardare, sente una voce gli dice di rivelare la sua natura, ricordandogli che lui non si è mai pentito di quello che ha fatto: una maschera appare sul suo volto e lui la strappa mostrando il vero Ren Amamiya, pronto a combattere per salvare un innocente.
Un adattamento rischioso
Lo studio d’animazione A-1 Pictures (Sword Art Online; Fairy Tail; Persona 4 The Golden Animation) è stato investito di un compito gravoso, dalle grandi aspettative, che dovranno essere soddisfatte in 24 episodi. Lo staff su cui A-1 Pictures ha puntato, è composto da grandi nomi: la regia è di Masashi Ishihama (Shinsekai Yori; La ragazza che saltava nel tempo); la sceneggiatura ad opera di Shinichi Inotsume (Akatsuki no Yona; Gangsta); la fotografia e le animazioni 3D sono firmate da Graphinica (Berserk: The Golden Age Arc II; Durarara!!) e la colonna sonora confermata di Shoji Meguru, colui che ha composto tutte le OST del franchise Persona/Shin Megami Tensei. Sentir riproposta la stessa musica del gioco nel lavoro d’animazione crea una connessione empatica tra i due format, stimolando il coinvolgimento e promettendo coerenza. Anche la fotografia, che gioca molto nello scontro tra rosso e blu, rievoca il mondo del videogame, ma senza far risultare risultare l’anime inadatto nel suo diverso contesto narrativo.
Neo tecnico disturbante è il character design di Tomomi Ishikawa (Konbini Kareshi), bellissimo nei primi piani, ma talvolta algido e capace di non esser fedele a se stesso durante le animazioni, creando un cosiddetto effetto “derp”, ma non è qualcosa dalla forte presenza e che può portare a giudicare Persona 5 un lavoro superficiale, dal primo episodio – anzi – mostra un carattere molto accattivante, segnato da un buona qualità, di cui vediamo vette e pochi affondi.
Per un occhio estraneo al gioco, sembra non esserci coerenza tra eventi, creando forse più un effetto straniante e comunicando confusione, ma proprio nel dare queste sensazioni si rivela un ottimo episodio introduttivo. Le emozioni che noi viviamo non sono così aliene al senso di straniamento che prova Ren, il quale rievoca il protagonista silenzioso del gioco, ma con un’ottima motivazione: il suo cuore è una prigione, la sua natura introversa è dunque segnata da questo.
Se a livello di plot invece può esser considerato insoddisfacente, posso dire che se alcune parti fossero state tagliate si sarebbero perse informazioni importanti ed un contesto altrettanto significativo. E a proposito di contesto devo soffermarmi a lodare la ricchezza delle scene: anche chi non ha giocato potrà aver notato molti dettagli che aggiungono colore e realismo alla parte scenografica, e non solo. Tra i passanti, tra le voci degli schermi degli smartphone, in gesti affrettati e sbadati, ci sono tantissimi richiami a personaggi, situazioni del gioco, quanto references ai capitoli precedenti della serie (è menzionata Naoto Shirogane). Potrebbero essere spunti narrativi futuri o soli omaggi, non lo sappiamo ancora, ma questo non significa che la serie è ad esclusivo gradimento dei gamers. Non serve aver visto altri titoli del franchise, o aver giocato a Persona 5 (anche se lo consiglio insieme a tutta la redazione), ma è interessante vedere quanto artisticamente cerchi di muoversi nel mondo del gioco, rendendolo comprensibile anche a un semplice spettatore, nonostante non possa offrire da subito una reale comprensione.
La storia di Persona 5 è molto complessa, non nel senso di complicata, ma stratificata su più piani; ci sono diverse trame che si intrecciano e confluiscono in un unico corpo che ha bisogno di tempo per muoversi con confidenza, e dare a noi modo di capire la direzione in cui sta andando; se vuole riuscire in questo ha bisogno di prendersi il suo tempo.
Nella sua lenta narrazione il primo episodio riesce ad essere incredibilmente fedele ai primi minuti di gioco: in quest’ultimo ci sono molte cutscene animate (ma non di qualità), perciò vedere nell’anime la prima cutscene (quella della fuga dal Casinò) fedele, ma rifatta con qualità e piccoli accorgimenti per impreziosirla, è stato emozionante, una saggia scelta che fa ben sperare e pensare a questo anime come qualcosa di più di un adattamento-tributo, ma un mondo che ci tiene a raccontare la sua storia al meglio.
Pericolo divergenza canon
La ricetta per un buon prodotto d’animazione c’è e si vede nel primo episodio, ma è quasi preoccupante la rassicurazione che il regista Ishihama ha fatto in un’intervista sul numero 660 di Dengeki. Alla domanda se ci fossero variazioni sulla trama rispetto al gioco, il regista ha parlato di un inserimento di una (spera piacevole) sorpresa che dovrebbe lasciare senza parole gli spettatori.
Considerando il rispetto e l’amore verso il prodotto originale, non possiamo essere sicuri che “la bella sorpresa” si riveli tale, e sono già nate polemiche, allarmismi e teorie all’interno di un fandom che ha amato la storia per quello che è, desiderando rimanga fedele a se stessa.
Persona 5 non è da considerare un lavoro di rivoluzionaria originalità, ma quello che lo ha fatto entrare nei cuori di molti è probabilmente il suo carattere ribelle, volto a rompere gli schemi: protagonisti sono dei ladri, dei ladri che desiderano fare la cosa giusta, ma sono anche consapevoli di non perseguire la Giustizia nella sua forma principe, ma piuttosto una giustizia personale ed egoistica. La società li vorrebbe in un modo, ci sono dei percorsi in cui farebbero la cosa giusta agli occhi di tutti, ma ciò che è formalmente giusto può avere un lato oscuro, e nella loro ricerca di verità sono quei mondi distorti che vogliono distruggere. Persona 5 si sorregge comunque su buoni sentimenti, sui valori dell’amicizia, dell’onestà e del coraggio, ma sono solo elementi tematici che vogliono puntare i riflettori su un altro tema: la ribellione.
Da Berserk e Psycho-Pass esistono molti lavori e capolavori che hanno parlato di ribellione, ma pochi sono riusciti a farlo usando elementi e premesse molto convenzionali, per questo credo che Persona 5 abbia avuto tanto successo. La narrazione stessa, la musica soul-jazz, cerca di entrare in sintonia con il clima di ribellione e il timore dei fan è probabilmente che ciò venga toccato in favore di scelte banali e comode.
Una detective story sui generis
Senza guardare più in là del nostro naso, fermando le maratone di fantasia, possiamo solo che dare un giudizio al primo episodio.
Nel suo dire e non dire, nella ricchezza di elementi, è difficile focalizzare cosa stia accadendo e poca chiarezza potrebbe essere anche deludente, ma se ci concentriamo al solo livello di adattamento rispetto al prodotto originale possiamo dire che la strada è quella giusta, ed incoraggerei a proseguire la visione per coloro che non sono convinti.
L’apparenza è forse quella della detective story dove il protagonista è un ladro gentiluomo che ruba per buoni propositi ed è inseguito dal detective di turno, un tipo di narrazione che rende quasi nostalgici a chi è cresciuto con la simpatia di Lupin III (approposito, in questa stagione anime andrà in onda Lupin III part V) e le avventure dai toni romantici come Cat’s Eye, Saint Tail e Il ladro dalle mille facce. Ah, e non scordiamo il più recente Kaito Kid!
Il papà di Persona 5, Katsura Hashino, ha preso evidentemente ispirazione da questo mondo narrativo, ma sarebbe scorretto semplificare Persona 5 come una detective story in quanto non lo è, più generi convergono, si incontrano e scontrano in un clima fantastico, tra l’urban fantasy e il thriller politico, senza dimenticare la centralità degli aspetti psicologici che sono la colonna vertebrale di questa storia e della sua dimensione sovrannaturale.
Il concetto di Persona è stato introdotto nel campo della psicoanalisi da Carl Gustav Jung, ispirandosi alla maschera (dal latino persōna) che gli attori indossavano durante le rappresentazioni teatrali. Essa è una parte dell’inconscio, una maschera della psiche che simula l’individualità. Non è reale, in quanto è un compromesso tra l’individuo e la società, ma i nostri protagonisti riescono a separarla dal loro io e ad usarla come mezzo di combattimento una volta consci della loro identità. Quando Ren strappa la maschera dal suo viso, separa dalla sua vera identità la percezione che il mondo ha di lui e questo è un elemento chiave alla comprensione dell’opera.
L’opera psicologica come abbiamo detto può accostarsi bene ad altri generi e dalle premesse che sono state fatte, si potrebbe pensare che l’anime darà un ruolo importante proprio alla parte “in giallo” dell’opera, in quanto è stato già introdotto il personaggio di Goro Akechi: nel gioco è distrattamente nominato all’inizio e non si vede, mentre qui la sua presenza è carismatica, nonostante si veda per pochi secondi.
Akechi è la controparte della storia, potremmo considerarlo il co-protagonista, e lo staff dell’anime ha lanciato chiari segni della volontà di ben inserirlo nel contesto e probabilmente – possiamo teorizzare – spingere di più sulla detective story. La possibilità è concreta in quanto nel videogame il tempo è per lo più investito nelle relazioni, nei mini-giochi e soprattutto Palazzi. Nonostante la trama e il carattere siano di un certo tipo, la percezione che si può avere tra gioco e anime di certi elementi diventa sensibilmente diversa.
Non vedo l’ora di poter esser ancora qui e recensire l’anime in completo. Non avevo grandi speranze per il primo episodio e sono molto scettica in generale, ho dei pregiudizi, eppure sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla prima visione: non ci troviamo di fronte a qualcosa di superbo, ma a un buon prodotto con un grande potenziale che potrebbe davvero rubarci il cuore.