Prison Break: Resurrection prosegue la sua quinta stagione dopo il grande ritorno della scorsa settimana con Kaniel Outis, secondo episodio dello show di Paul Scheuring in onda su Fox.
Il tema portante di questa nuova puntata è tutto nel titolo: Kaniel Outis è il nome con cui si indicano ad un tempo la nuova identità di Michael e ciò, o meglio chi l’ingegnere dato per morto è diventato nei sette anni di esilio che lo hanno condotto in un carcere dello Yemen per dinamiche ancora da chiarire.
Se infatti all’inizio dell’episodio troviamo Scofield cimentarsi in quello che sa fare meglio, elaborare un piano per evadere di prigione, è con un certo sgomento che nel finale apprendiamo la veridicità almeno apparente delle accuse di terrorismo che tengono l’uomo dietro le sbarre, quando lo vediamo salutare e abbracciare il leader dei miliziani dello Stato Islamico che sono in procinto di prendere la città, Abu Ramal (Numan Acar).
A disseminare il dubbio sulla nuova natura di Michael nella testa di una sconvolta Sara è nientemeno che Paul Kellerman (Paul Adelstein), storico antagonista dei fratelli Burrows-Scofield, anche lui munito di una certa esperienza con la resurrezione, il quale mostra alla vedova delle foto che proverebbero la colpevolezza dell’ormai Kaniel Outis nell’omicidio di un funzionario della CIA; circostanza che, come osserva la donna, puzza di complotto analogo a quello subito da Lincoln all’inizio della storia.
E se i telespettatori veterani della serie hanno imparato che non bisogna fidarsi di Kellerman, a Jacob (Mark Feuerstein), il nuovo marito di Sara, è affidato il compito di arrivare dove l’ex agente della Compagnia non riesce, spiegando come l’applicazione da parte di Michael della Teoria dei giochi, lo studio sull’interazione strategica di individui ciascuno mirante al massimo guadagno, possa aver trasformato l’eroe in mostro.
Fin qui sembra quindi che gli sceneggiatori vogliano incentrare la serie sull’ambiguità del protagonista, forse riservando ad un’ora ancora più tarda di quella che ci aspettiamo le spiegazioni sul modo in cui il geniale evasore ha finto la propria morte e sopratutto riguardo le ragioni che lo hanno indotto a farlo. Missione assistita dalla fredda e inespressiva impenetrabilità degli occhi grigi di Wentworth Miller, che torna a una recitazione più simile a quella regalataci agli albori dello show, per lo più monocorde, controllata e mai scomposta, che non tradisce alcuna emozione.
Per il momento seguiamo le avventure di Lincoln, C-Note e l’affascinante Sheba (Inbar Lavi) attraverso i check points e la città conquistata dai terroristi, cercando di capire come facciano a viaggiare con tanta facilità i cigni di carta con le criptiche istruzioni di Michael.