Con Behind the Eyes si è chiusa la quinta stagione di Prison Break, revival di uno show televisivo che nella sua storia ha riscosso un grande successo di critica e pubblico, ideato da Paul Scheuring e edito da Fox.
Nei nove episodi che hanno coronato questa operazione nostalgia, abbiamo visto riunirsi dopo sette lunghi anni i fratelli Lincoln e Michael, in ostaggio del capo di una cellula scissionista dell’FBI, Poseidon alias Jacob Ness, che il nostro ingegnere riesce a sconfiggere. Un finale non del tutto felice e avvolto nella consueta aura enigmatica che trasuda dal protagonista indiscusso interpretato da Wentworth Miller, seduto al parco alle spalle della sua famigliola felice, defilato e malinconico.
Per tirare un bilancio di questa nuova avventura ispirata alle vicende dell’eroe omerico Ulisse non si può prescindere dall’intenzione di chi ha puntato sulla riapertura di una storia esaurita: se l’intento consisteva nell’ elevare Prison Break al livello dei prodotti che costellano brillantemente il panorama televisivo attuale, bisogna ammettere che l’obbiettivo è stato mancato; se invece a spingere i produttori a cedere all’onda dei reboot che ormai si è abbattuta tanto sul grande quanto sul piccolo schermo è stato il desiderio di omaggiare i fan regalando loro una nuova avventura ricca delle caratteristiche consuete e conosciute che i telespettatori hanno amato, questa stagione l’obbiettivo l’ha raggiunto, pur relegando a comparsa molti dei protagonisti che hanno reso popolare lo show nelle sue prime quattro stagioni.
A non rendere Prison Break pienamente all’altezza di molti prodotti concorrenti è una serie di fattori malfunzionanti, forse tentati ma non riusciti, come la trama. Carente e poco coraggioso, questo intreccio si è lasciato dietro qualche perplessità, a cominciare dalle scorciatoie con cui sono state tagliate prima di essere sviluppate situazioni che sembravano di importanza e difficoltà cruciale, come la contesa- poco utile- tra Lincoln e Luca Abruzzi, le telefonate lampo, i droni presi in prestito, la presenza dell’agente Kishida (Curtis Lum), la fine indolore di Kaniel Outis. Ognuna di queste situazioni è stata introdotta al termin di ogni episodio per poi risolversi facilmente nei primi minuti del successivo, rendendo sì il ritmo veloce, ma a volte deludendo con espedienti troppo comodi e semplicistici.
Non se la cavano meglio i personaggi: nonostante l’innegabile fascino di Michael si sia preservato, l’abilità di Mark Feuerstein a cambiare registro e un ottimo Robert Knepper, perfetto nel ruolo di T-Bag, le new entries si sono dimostrate, con rare eccezioni, poco incisive, non aiutate dalla minima introspezione psicologica e da gag monotone, al punto che anche le loro morti toccano ma non sconvolgono. A rivedere l’elenco dei caduti sembra che agli autori sia mancato il coraggio di mettere in atto un vero colpo di scena, un evento capace di far sobbalzare dalla sedia e cambiare per sempre il volto dello show, come era accaduto alla fine della quarta stagione. Alla storia sono stati sacrificate solo figure marginali e a volte in modo insensato, come capita a Whip.
Dove invece lo show dà il meglio di sé è nei momenti di dinamismo, inseguimenti e le fughe, armi e piani, anche improvvisati. Il ritmo e la tensione sono ben gestiti, botte ed esplosioni ben piazzate, le vittorie sugli inseguitori avvincenti. Lo scenario fantapolitico che ha contribuito a fare dello show uno dei più popolari dei primi anni Duemila è stato giustamente mantenuto e anche inserito in un contesto attuale, nel quadro dell’incombente minaccia terroristica e dell’uso che le potenze occidentali fanno delle guerre in Medio Oriente. Al libero apprezzamento dei fan sono lasciati i tatuaggi di Michael, quelli sul dorso delle mani, capaci di ingannare uno scanner facciale, (possibile?), mentre sicuramente funziona l’idea suggerita dalla citazione napoleonica, che Michael usa per incastrare l’avversario.
Tra pregi e difetti, di questo Prison Break resta una conclusione moderatamente lieta, in cui ogni cosa sembra essere messa apposto ma non troppo: Michael resta escluso dalla felicità dei suoi cari, l’ultima inquadratura è riservata al luogo in cui tutto è cominciato, il penitenziario di Fox River, e Poseidon è presumibilmente ancora vivo. Ci sarà dunque una nuova stagione? Per ora non ci resta che aspettare e chiederci se l’aiuola a forma di gufo che compare nel parco, davanti alla famiglia Scofield-Burrows sia lì solo per caso.