Con Il ritorno di Mary Poppins dal 20 dicembre rincontreremo la magica tata creata da P. L. Travers, in una nuova avventura musicale firmata Disney, che si è fatta attendere per ben 54 anni!
Ritorno a casa Banks
I piccoli Banks, Michael (Ben Whishaw) e Jane (Emily Mortimer) sono degli adulti ormai, ma le loro vite stanno cadendo a pezzi. Michael è padre di tre figli rimasto da poco vedovo, non riesce a gestire la famiglia ed ha l’impiego come semplice cassiere nella banca in cui lavorava suo padre, mentre Jane è un’appassionata sindacalista che cerca di aiutare il fratello come può, insieme all’anziana domestica Ellen (Julie Walters). Quando due bancari bussano alla porta della storica casa dei Banks con un mandato di pignoramento, Michael è in crisi perché non può pagare tutta la somma richiesta all’istante, a meno che non presenti le azioni bancarie lasciate dal padre. C’è un problema: Michael non riesce a trovare quei documenti da nessuna parte e ha soli pochi giorni per salvare la casa.
In un tale momento di crisi ritorna nella loro vita Mary Poppins (Emily Blunt), con il compito di portare risolutezza, autostima e un po’ di creatività in una famiglia che è diventata troppo seria, responsabile e attanagliata dalla nostalgia di una madre (e moglie) straordinaria in tutto.
Quando la magica tata andrà via? Solo quando si aprirà una misteriosa ultima porta. Prima che ciò avvenga però i piccoli Annabel, John e Georgie dovranno ritrovare fiducia in se stessi e risolutezza.
Cantando e ballando nei magici viaggi di Mary Poppins, tra eccentrici incontri nelle vie di Londra (come quello memorabile con l’eccentrica cugina Topsy, interpretata da Meryl Streep), direttori di banca disonesti (Colin Firth), con il prezioso aiuto dell’acciarino Jack (Lin Manuel Miranda) e gli altri lampionai di Londra, Mary Poppins riporterà un po’ di luce nella vita dei Banks.
Il rispetto per un cult
Fu proprio il libro Il ritorno di Mary Poppins del 1935 a portare Walt Disney ad immaginare un film musical che incontrasse l’animazione 2D.
La tempestosa avventura che portò alla sviluppo del film è narrata nell’emozionante Saving Mr. Banks di John Lee Hancock del 2013, che in parte può lasciar intuire perché questo sequel – tanto atteso – sia arrivato con mezzo secolo di ritardo. C’è anche da dire che il Mary Poppins del 1964 era un film perfetto: originale, avanguardista e dove Julie Andrews dava vita al personaggio fantastico, entrato nel cuore di molte generazioni. Un sequel non sembrava più necessario, evidentemente.
Tanti bambini, poi cresciuti, hanno sempre sperato di rivedere la loro tata dei sogni sul grande schermo, mentre il film di Robert Stevenson veniva consumato dalle TV e nei registratori, nell’epoca in cui le VHS erano essenziali e i palinsesti protagonisti dei natali dei bambini di tutto il mondo. Il tempo ha reso iconica ogni singola frase, ha creato un legame indissolubile con quelle canzoni e la storia (con le sue denunce sociali) era sempre così attuale. Mary Poppins è dunque diventato un cult e quando tocchi un oggetto di culto, sei consapevole di doverlo rispettare e curare nel dettaglio, perché la critica è pronta a scagliarsi contro di te.
Mary Poppins nel 2018 era dunque proponibile? Come? Poteva essere proposto come remake o in una storia portata in una dimensione contemporanea, ma probabilmente sarebbe stato un imperdonabile errore. La scelta giusta si è trovata nel puntare al secondo libro di Travers, lasciando la sceneggiatura nelle mani sapienti mani di David Magee (Neverrland, Vita di Pi) con una esperta di musical come Rob Marshall (Chicago, Into the Woods), che ha confezionato un film che sembra esser realmente uscito dagli anni Sessanta.
Si calca molto sulla struttura narrativa e la musicalità del film del 1964, anche l’occhio torna indietro nel tempo con scenografie (John Myhre) molto teatrali e che non dimenticano il predecessore; un rispetto tale è ancor più visibile nei colori e nelle animazioni 2D, ma non solo. Marc Shaiman e Scott Wittman che si sono occupati della colonna sonora, sono stati bravi lavorando su un effetto nostalgia non forzato, che fa eco alle canzoni che hanno fatto storia, ma senza tentare di renderle troppo simili. Forse il timore di osare troppo si è fatto sentire, con testi e musica un po’ sottotono, ma solo il tempo potrà dirci se anche le nuove canzoni diventeranno iconiche.
Quel che è certo è che Rob Marshall è stato capace di ricreare un musical che richiama le opere della Golden Age di Broadway e ha scelto ottimi collaboratori per questo viaggio nel passato.
Un problema di Target
Il Ritorno di Mary Poppins è un film perfetto per i bambini di sessanta, cinquanta, quaranta e trent’anni.
Sì, avete letto bene ed è qui la grande contraddizione: il film di Bob Marshall è un film per altre generazioni, ma è anche un film per bambini.
Fino agli anni Novanta, con generazioni nutrite a televisione e home video, Mary Poppins era un film attuale, che riusciva ad essere unico nel suo genere, convincente nella rappresentazione, seppur ambientato agli inizi del Novecento. Il rapporto che i bambini hanno con l’home video è cambiato, gli interessi sono selezionati con scrupolo da servizi on demand che – pur avendo classici per famiglie – puntano a conquistare il pubblico dei giovanissimi con prodotti attuali, figli di un’epoca di tecnologie diverse, quanto di narrazioni diverse.
Mentirei se dicessi che in Il Ritorno di Mary Poppins non ci sono tematiche ed elementi di attualità: siamo nel periodo della Grande Depressione, un’era con molte analogie con il nostro presente, ma ciò che è cambiato è il linguaggio e questo fa la differenza.
Mary Poppins vantava di un linguaggio originale, unico nei suoi tempi e che ha segnato una tendenza. La produzione cinematografica attuale è inevitabilmente cambiata, oggi ha espressività diverse, nuove forme di linguaggi, da quelli visivi a quelli musicali, costruiti su una scrittura diversa.
Un confronto tra il cinema degli anni Sessanta e quello contemporaneo non ha senso, uno è la base e l’altro la conseguenza del primo, non esiste una forma artistica migliore, a meno che non si viva cristallizzati nella nostalgia.
Il ritardo che fa la differenza
Il Ritorno di Mary Poppins è un film davvero bello, curato in ogni dettaglio, con un cast eccezionale (per alcuni saranno stati sprecati i ruoli come quelli di Meryl Streep o Colin Firth, ma non per chi vi scrive), in particolare Emily Blunt è praticamente perfetta, sotto ogni punto di vista.
L’aspetto che ho trovato sprecato – e che pesa al film – è appunto l’aver fatto un sequel perfetto, ma con 54 anni di imperdonabile ritardo. Può essere perfetto per i nostalgici che ancora hanno conservato i bambini di un tempo, ma il film si suppone debba essere per chi è bambino oggi, un bambino che – in questo caso – se vuole andare al cinema deve essere preparato, costretto ad aver visto il primo film che è quanto di più lontano possa esserci dal suo mondo. Ci si preoccupa sempre di quanto i prodotti per teenager e adulti debbano essere a insensatamente a portata di bambino, ma quando poi si deve entrare nel mondo dell’infanzia è il bambino che deve venire incontro al mondo adulto?
Il Ritorno di Mary Poppins poteva essere proposto con gli stessi contenuti in modo diverso, scegliendo se essere un film per adulti o per bambini. A volte voler cavalcare l’onda dell’effetto nostalgia non basta.
Tutta la bellezza del film viene attutita da questo ritardo generazionale, quell’originalità di cui faceva vanto ha colori spenti, le canzoni intelligenti diventano facili da dimenticare ed è disturbante per un adulto vedere un film che può parlare solo al bambino che era ieri, quanto – immagino – sia fastidioso per un bambino vedere un film che non è vicino al suo mondo.
Il Ritorno di Mary Poppins richiede sforzo, spingendoci a portare indietro le lancette dei nostri orologi e sperare che i bambini riescano ad amare il vintage, per comprenderne la bellezza.