Una volta Alberto Sordi interpretava Ferdinando Meliconi, quello che è diventato il proverbiale Americano a Roma. Quando diciamo Un americano a Roma noi immaginiamo qualcuno forse spaesato, stordito, fuori contesto. Se vi dicessimo “un francese nel Far West” voi a cosa pensereste? Qualcuno potrebbe azzardare a dire “ad una barzelletta”, ma Jacques Audiard l’ha presa piuttosto seriamente questa cosa di voler girare un film western. Con The Sisters Brothers, il regista francese sceglie prende la strada meno facile. Attraverso lo sguardo di chi è cresciuto nella patria della Nouvelle Vague ci regala uno spaccato diverso da quello che siamo abituati a vedere sulla frontiera americana punto
Charlie Sisters ed Eli Sisters sono due fratelli che vivono guadagnandosi da vivere ai limiti della legalità. Parliamo del 1800 nelle grandi distese americane, quindi il concetto stesso di legalità era piuttosto messo in discussione. I fratelli Sisters, al soldo del Commodore, sparano, torturano e pestano chi gli venga indicato. Sulle tracce di un chimico squattrinato incrociano loro cammino con quello di Jake Gyllenhaal, detective dei modi discutibili. L’incontro di questi quattro personaggi comporterà riflessioni che sconvolgeranno la vita di tutti.
Alla sua prima produzione americana Jacques Audiard confeziona una pellicola originale in tutto e per tutto. Un film di frontiera che riserva davvero poco tempo alle proverbiali sparatorie, ma che si fa carico della costruzione di un mondo su misura dei suoi personaggi. L’introspezione la fa da padrona facendoci rivalutare le ragioni di ognuno. Una sceneggiatura non banale della quale si è fatto carico lo stesso regista, offre momenti per nulla hollywoodiani, che nell’economia della pellicola creano situazioni di comicità inusuale ed un nuovo punto di vista.
Il film si regge, oltre che sul solidissimo comparto tecnico, guidato dall’asettica regia di Audiard, sulle prestazioni di un cast in forma smagliante. A dividesi la scena principale sono John C. Reilly e Joaquin Phoenix, lo Yin e lo Yang. Magro e strafottente uno, corpulento e rispettoso l’altro, formano una strana coppia che ricorda i migliori binomi cinematografici, con scambi di battute mai banali, il tutto orchestrato da una sceneggiatura sempre valida ed interessante.
L’utopia di una civiltà non scossa dai turbamenti del ruggente capitalismo è uno dei temi forti del film. Questa chimera da contrapporre alle violenze dei Padri Pellegrini, che tanto sangue hanno versato sulle distese americane. Questo è il sogno di Hermann Kermit Watz, lo schivo Riz Ahmed, riesce coi suoi modi educati e con la parlata colta a veicolare un messaggio tanto bello quanto irrealizzabile. La famiglia è l’altro spinoso tema sul quale i personaggi inciampano a più riprese. Morris (Jake Gyllenhaal) e i fratelli Sisters condividono l’esperienza di una padre lontano dal ruolo modello per i propri figli e la ricerca di una famiglia, o il rifiuto di essa, scavano un profondo solco nelle vite dei personaggi.
Il viaggio che i quattro personaggi intraprendono, per motivi e ragioni diverse, diventa un viaggio interiore. Questo peregrinare a cavallo si trasforma in una lunga metamorfosi, catalizzata dagli eventi e dalle scelte di ognuno. In questo western grottesco, atipico e malinconico lo spazio offerto alle sparatorie ed alle situazioni tipiche del genere cinematografico è marginale. Nell’allontanarsi dalle periferie e dall’architettura urbana Audiard porta con sé quell’umanità che abituato a raccontare. Alexandre Desplat, compositore di esperienza e talento, impacchetta il film con un tappeto musicale eccezionale. La capacità del film di cambiare toni e velocità si riflette alla perfezione nel comparto musicale del musicista francese.
Il film non sbaglia un colpo nelle sue due ore di durata, che sono forse l’unico vero difetto. Una lunghezza forse eccessiva, ma giustificata dalle buone intenzioni del regista. Questa discesa nell’animo umano è una trappola anche per chi pensava di trovarsi davanti ad un film western, un film sulla caccia all’oro o su banditi e cowboys, per poi ritrovarsi davanti alla ricerca della felicità quattro persone nel West. Il genere diventa una scusa per dare un setting diverso ad una storia di umanità.