Soldado segna l’esordio Hollywoodiano di una nostra eccellenza, al secolo Stefano Sollima.
Romanzo Criminale, Gomorra, Suburra, A.C.A.B., un curriculum di tutto rispetto. In pratica il De Cataldo del cinema. Soldado però sembra una bella gatta da pelare anche per lui, visto che deve confrontarsi con l’ombra di uno dei registi più creditati del momento: Denis Villeneuve.
Il regista canadese aveva impostato una storia di meravigliose linee sottili e di dualismi che venivano rotti, gettando ombra sul bene e sul male. A Sollima è spettato l’arduo compito di dare un seguito a quella che sarebbe stata una perfetta storia autoconclusiva.Il risultato? Parzialmente riuscito.
Day of the Soldado
Fin dai primi momenti di Sicario: Day of the Soldado, possiamo notare che l’intenzione è quella di non tradire il dogma stilistico di Denis Villeneuve. Lunghe inquadrature, silenzi, un lento incedere verso il punto focale della narrazione. Questo è, forse, il momento in cui Sollima ha trovato le maggiori difficoltà.
Il film riprende il personaggio di Josh Brolin dove lo aveva lasciato. Impegnato nella sua lotta al crimine dentro e fuori i confini americani. Dopo una serie di attentati, l’intelligence governativa americana scopre un doppio intreccio che scoperchia pericolosi legami tra il terrorismo islamico, forze governative messicane ed i cartelli della droga. Starà a Matt e Alejandro (Benicio del Toro) tagliare la testa a questo serpente che è pronto a prendere alla sprovvista gli USA.
Cambi di registro
Sollima non è aiutato da una sceneggiatura che non riesce mai a raggiungere i livelli della precedente, e inserisce dinamiche politiche più marcate, ma che tendono a non funzionare quasi mai, fungendo da Deus Ex Machina narrativo, ma senza mai catturare lo spettatore.
Detto questo però, il film parte in quarta quando invece si scrolla di dosso le atmosfere dei palazzi del potere a favore dell’azione al confine. Infatti Sollima torna in luoghi difficili e mostra perché è l’uomo giusto per questo lavoro. Nel momento in cui si torna al “moderno western” Sheridan preme fortissimo sull’acceleratore e scrive scene crude e complicate, che esaltano il regista nostrano mettendolo a suo agio.
Tutta l’azione al confine è un connubio di storie di difficoltà: quelle di una bambina al centro di problemi più grandi di lei; quella di un ragazzo che vuole farsi da sé, non capendo fino a dove sia giusto; un uomo che ha perso tutto ed un uomo che non vuole perderlo.
In questo “Confine dei Destini Incrociati”, come lo chiamerebbe Calvino, viene eliminato qualsiasi tipo di filtro. L’azione è consumata dritta alla sorgente, senza essere imbottigliata e non ci viene risparmiato nulla, o quasi. Questo anche grazie alle maiuscole interpretazioni di Josh Brolin e Benicio del Toro, che hanno fatto poca fatica a tornare nei panni vestiti quattro anni fa, firmando due storie opposte.
Sollima è ben lontano dalla sua Gomorra, le tonalità si fanno più calde, i piccoli vicoli diventano le aride distese americane, Napoli diventa la frontiera americana. Ma questo non è praticamente mai un ostacolo. Le sue storie rimangono pregne di chiaroscuri e personaggi che si alternano tra bene e male. Soldado non fa eccezione, mettendo i protagonisti, ipoteticamente paladini del bene, che si macchiano di crimini, cospirazioni e ci fanno quasi dubitare delle loro intenzioni.
Dal punto di vista tecnico non c’è molto da dire. La cura per la fotografia di Dariusz Wolski non è una novità. L’abbassamento rispetto al suo predecessore, il Roger Deakins fresco di Oscar, è evidente, ma rimane comunque coerente e piacevole.