Stan Laurel e Oliver Hardy, conosciuti nel nostro Paese come Stanlio e Ollio, dal primo incontro cinematografico in Cane fortunato (1921) hanno capito che le loro abilità artistiche potevano creare qualcosa di unico e non a caso sono diventati la coppia principe della slapstick comedy.
Dopo oltre mezzo secolo dalla morte di Hardy (1957) e Laurel (1965) un tributo cinematografico è arrivato nella forma di biopic presentato alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, dove è stato accolto con ampio consenso e divertimento.
Un matrimonio da salvare
Con un importante long-take che segue Laurel (Steve Coogan) e Hardy (John C. Reilly) per gli studios di Hollywood, si apre il film nonché l’inizio di una frattura drammatica. Camminando insieme a loro in quel caos creativo e divertente della fabbrica del cinema, abbiamo subito un’idea chiara del successo di Stanlio e Ollio, del lungo percorso fatto per arrivare a quel punto, quanto del successo che influenza la vita privata e le aspirazioni di attori che vogliono maggior riconoscimento e un compenso più adeguato alla loro popolarità.
Dalle atmosfere calde e musicali di un periodo splendido, un salto temporale ci porta al 1953, in un’Inghilterra buia, piovosa e fredda, dove ritroviamo Laurel e Hardy invecchiati e cambiati, come il resto del mondo. Sono due leggende viventi ma si confondono bene con il grigiore britannico; sono un ricordo sbiadito e i due non lavorano da tanto – troppo – tempo insieme, ma le necessità economiche hanno portato la coppia ad accettare un tour teatrale in Inghilterra.
L’unione artistica (e la loro amicizia) è stata rovinata in passato, per questo c’è risentimento da ambedue le parti ma invece di essere franchi l’uno con l’altro, come una coppia che ha attraversato un doloroso divorzio, ignorano il dolore e indossano maschere. Provano, immaginano sketch, fantasticano sulla sceneggiatura di un film su Robin Hood che Laurel sta scrivendo, film che potrebbe segnare il ritorno ai fasti del duo Stanlio e Ollio.
Inseguendo la speranza della produzione del film, stringendo i denti tra un’ospitalità modesta, teatrini semi-vuoti della provincia inglese e un produttore (Rufus Jones) affatto fiducioso, si impegnano in vista delle mogli (Nina Arianda e Shirley Henderson) che arriveranno alla fine del tour e alle quali vogliono poter confermare che il lungometraggio tanto atteso si farà.
Teatro dopo teatro, bugie su speranze, tra corpi stanchi e viaggi in treno sempre più faticosi, parlare di se stessi non è facile e l’elefante nella stanza nei camerini è sempre più grosso, quanto il loro sogno sempre più evanescente.
Storia di uomini ed artisti
Stanlio e Ollio ha scaldato ed armonizzato una sala incredula di vedere sullo schermo performance tanto accurate, capaci di riportare in vita lo straordinario duo comico. Steve Coogan e John C. Reilly sono così immersi nei ruoli da dare l’illusione che sullo schermo ci siano proprio Laurel e Hardy e la chimica tra i due è emozionante, di un magnetismo che coinvolge, strappando sorrisi e lacrime.
Riproporre sul grande schermo un biopic che parlasse di Stanlio e Ollio era ambizioso, ma l’umiltà di un regista come Jon S. Baird (Filth) e l’ottima scrittura del candidato Premio Oscar Jeff Pope (Philomena) hanno saputo su cosa puntare per rendere davvero omaggio al duo.
Meno parole, meno situazioni, più spazio invece per sketch che valorizzano la loro natura di comici, più rapporto fisico, più espressività che ambizione di coprire una lunga carriera.
La regia è sapientemente passiva in questo caso, si affida alla recitazione e le performance diventano l’anima di una pellicola che trasuda di storia, di vita, fatta di risate e drammi, ma senza intraprendere percorsi eccessivamente melodrammatici e romanzati.
Molti biopic preferiscono separare la vita dell’uomo dall’artista, scavare nel cercare il dramma, puntare sull’aspetto più commovente e trascinare l’attore verso un percorso di vita lunghissimo, quasi da racconto epico. Nel film di Baird dopo il long-take che presenta la grandiosità dei due comici, saltiamo a un periodo di crisi e non perché è facile puntare sul dramma, quanto perché è proprio quello il momento perfetto per analizzare il loro rapporto umano ed artistico nella sua complessità.
Stanlio e Ollio scopriamo così che era più che un rapporto professionale, era una vera storia d’amore: verso l’arte, verso il proprio mestiere, verso il pubblico, è un’alchimia che ha creato un’intesa perfetta in un’amicizia profonda ma capace di ferire.
L’occhio della telecamera non si sofferma solo sulle somiglianze fisiche ed espressive, scava oltre, con delicatezza ed empatia; non c’è una vera separazione tra aspetto umano ed artistico, sono uomini ed artisti, due nature congiunte che si sono incontrate ed incastrate perfettamente lavorando insieme.
Quello che hanno creato è quasi un corpo a se stante, come un figlio, che hanno amato, che hanno cresciuto con pazienza, che ha dato loro felicità, soddisfazioni, ma anche problemi e qualcosa di inaspettato che non hanno saputo gestire.
Il tour inglese dovrebbe rappresentare un momento di riconciliazione, ma non è così semplice e la presenza delle mogli fa riaffiorare altre questioni. Nina Arianda e Shirley Henderson hanno dei ruoli affatto di semplice supporto, sono delle interpreti sorprendenti che danno vita a un secondo duo comico che vivacizza l’atmosfera, talvolta accrescendo la tensione, talvolta stemperando i malumori, aiutando però anche a entrare nel’universo emotivo dei protagonisti.
Niente è superficiale, nessun ruolo è superfluo, non c’è mai eccesso o voglia di fare più di quanto è documentato, ma il risultato di grande affetto per questi uomini è inevitabile.
Un’armonia perfetta
Stanlio e Ollio di Jon S. Baird riesce ad essere un film biografico che dà un senso di completezza, in cui tutto è equilibrato in quanto ogni aspetto, sezionandolo, è impeccabile. Non solo scrittura, non solo bravura degli attori, la ricostruzione storica (aiutata dalla biografia Laurel & Hardy – The British Tours di A.J. Marriot) sfiora la perfezione nel suo realismo, dal trucco e acconciature di Mark Coulier e Jeremy Woodhead (candidati ai BAFTA e British Independent Film Awards), ai costumi di Guy Sperenza (candidato al San Diego Film Critics Society Awards e British Independent Film Awards) alla scenografia di John Paul Kelly (La teoria del tutto).
Molte candidature ai Festival anche per pellicola, interpreti ed autori ma pochi i riconoscimenti, se non per John C. Reilly premiato al Boston Society of Film Critics Awards e San Diego Film Critics Society Awards, mentre le tante (e forse più importanti) candidature per Coogan non hanno dato risultati, puro nonsense in quanto è il lavoro insieme a fare la differenza, ad accendere la scintilla dell’emozione e il gusto del riso per una comicità ormai arcaica ma che ancora riesce magicamente a toccare lo spettatore.
Stanlio e Ollio nel suo incubare umori comici e drammatici, è una pellicola elegante, colorata, ricca di sfumature ma anche leggera, riflesso perfetto di quella che è la slapstick comedy: qualcosa di apparentemente semplice, ma che non avrebbe potuto funzionare senza intelligenza e cura nei dettagli.