Lo scorso 12 Febbraio Netflix ha rilasciato l’ultima puntata di Star Trek: Discovery, la serie CBS ispirata allo storico franchise di Gene Roddenberry, che ha trovato la sua conclusione dopo la pausa dalla prima metà di stagione.
Lo sci-fi sceneggiato da Alex Kurtzman e Brian Fuller si caratterizza per una trama ricca e complessa che non lesina alter ego e dimensioni parallele, (elementi a quanto sembra immancabili nella cosmologia delle più recenti opere di fantascienza), una vasta gamma di begli effetti speciali, qualche intuizione abbastanza buona da culminare in degno colpo di scena. Il risultato consiste in un compito bene eseguito ma con dei difetti che lo portano ben lontano dall’eccezionalità.
Il primo limite di Star Trek: Discovery è l’intreccio. La volontà di dare vita a una narrazione bellica, politica, diplomatica e introspettiva non arriva più in là di una trama tutto sommato prevedibile, se si trascura il plot-twist di Lorca (Jason Isaacs), che risulta anche essere l’unico personaggio veramente interessante. Lo stesso non si può dire dell’eroina Michael Burnham (Sonequa Martin-Green), alla quale i trascorsi vulcaniani avrebbero potuto dare una coloritura più intensa e sfaccettata della monolitica donna d’azione per di più in balia degli eventi. Il resto dell’equipaggio compone un mosaico appannato e incoerente, in cui si è cercato di concentrare tutte le tematiche care al momento storico, (disturbi post-traumatici, omosessualità, cooperazione tra specie diverse), compiendo forse l’errore di mettere “troppa carne al fuoco” a discapito di una caratterizzazione e uno sviluppo chiari.
Probabilmente in questo senso non ha aiutato la durata della serie, eccessivamente ricca e non priva di puntate di stallo, che avrebbero potuto essere eliminate, magari favorendo una maggiore linearità nell’intreccio e un ritmo meno discontinuo, oltre che una rappresentazione migliore e più coinvolgente dei protagonisti, nonché un uso più appropriato del talento di Doug Jones, qui nei panni di Saru.
C’è da dire che Star Trek: Discovery è andata migliorando nel corso degli episodi, la stessa trovata dell’Universo dello Specchio ha permesso di vivere interessanti ribaltamenti della trama, aprendo a riflessioni sulla natura umana e il relativismo della storia, riviste ma anche rispondenti all’aspirazione pacifista che da sempre contraddistingue Star Trek in tutte le sue ramificazioni. Tanto pacifista da non veder versata una goccia di sangue nemmeno per il gran finale, che ci mostra le sorti del conflitto riprendersi a un passo dalla sconfitta grazie a una negoziazione, scelta narrativa coerente con l’anima del franchise ma non del tutto con il clima teso degli episodi precedenti, e che finisce per smorzarne la carica enfatica.
Ciò che invece costituisce un punto di rottura con lo show originale è la scarsa esplorazione dell’universo. Quanto si vede è di indubbia bellezza, la tecnologia e gli effetti speciali non lasciano per nulla a desiderare, ma gran parte dell’azione resta dentro l’astronave e pochi altri locali, senza lasciare spunti per fantasiose ricostruzioni di pianeti e creature.
Già rinnovata per una seconda stagione dai risvolti imprevedibili, (l’ultima puntata ci ha regalato l’atteso cross-over con l’Enterprise), Star Trek: Discovery ha un’identità propria ma sfocata, una scrittura che si fa seguire ma non stupisce, un’estetica ben curata ma che avrebbe potuto offrire di più. Un prodotto piacevole nel complesso, che avrà diviso gli amanti del genere dai fan più accaniti della saga, ma che non spicca nel vasto panorama televisivo.