L’attesa è finita, l’epilogo della trilogia sequel di Star Wars, nonché della saga degli Skywalker arrivata al nono episodio, è finalmente disponibile da oggi nelle nostre sale. Il film è stato scritto e diretto da J.J. Abrams, che dopo aver lanciato la trilogia nel 2015 è tornato dietro la macchina da presa in seguito al divorzio di Disney e LucasFilm con Colin Trevorrow che, inizialmente, avrebbe dovuto dirigere questo Episodio IX: L’Ascesa di Skywalker.
Con il primo film di questa trilogia, Il Risveglio della Forza, J.J. Abrams aveva tracciato la strada per la nuova storia, ricalcando la struttura narrativa consolidata di Episodio IV, prendendosi di fatto con pochissimi rischi, essendo già un rischio enorme approcciare ed accontentare al contempo la critica e, soprattutto, i fan della saga. Il film successivo, Gli Ultimi Jedi, è stato diretto invece da Rian Johnson, che ha giocato su un terreno molto più instabile di J.J. Abrams. Nonostante ciò, ha saputo creare un perfetto mix fra la celebrazione rispettosa di un’eredità pesante e la rottura con il passato, prendendo una direzione ben precisa, coerente e funzionante. Tale direzione ha tirato fuori il peggio da un “fandom” tossico ed esigente, portando J.J. Abrams a realizzare un film incoerente con il precedente, nel tentativo di restituire ai fan la comfort zone perduta.
Lo Yin e lo Yang
Senza spolerare nulla della trama per rispetto di chi ha deciso di leggere questa recensione, è chiaro che J.J. Abrams si sia trovato di fronte a due difficoltà non indifferenti da gestire: la morte cinematografica di Luke Skywalker e la prematura scomparsa dell’attrice Carrie Fisher, che nelle intenzioni del regista avrebbe dovuto giocare un ruolo fondamentale in questo film. E così, senza più Luke, Leia e Han, caduto per mano di suo figlio in Episodio VII, L’Ascesa di Skywalker trova finalmente il tempo di focalizzarsi sulla crescita dei nuovi personaggi secondari introdotti dalla trilogia sequel: Finn e Poe Dameron. Chi riesce maggiormente ad emergere è sicuramente il pilota della ribellione interpretato da Oscar Isaac, mentre chi, al contrario, esce con le ossa rotte è Finn (John Boyega), che se nel primo film della trilogia aveva avuto l’introduzione più intrigante finisce per essere un’anonima figura senza aggiungere davvero nulla alla storia. L’ex Stormtrooper paga la debole parabola in Episodio VIII, tanto che la co-protagonista di quella storyline, Rose (Kelly Marie Tran), nel film di J.J. Abrams ha un ruolo decisamente marginale.
Per quanto riguarda i due protagonisti, come nello Yin (nero) in cui c’è sempre un po’ di bianco e nello Yang (bianco) in cui c’è sempre un po’ di nero, Rey (Daisy Ridley) e Kylo Ren (Adam Driver) si confermano due personaggi moderni, complessi e stratificati, in cui non vi è una netta separazione tra bene e male. In particolare, Adam Driver conferisce a Kylo Ren/Ben Solo una fragilità mista a forza incredibili, e conferma ancora una volta come sia il personaggio più riuscito dell’intera trilogia, riuscendo dove Hayden Christensen aveva fallito.
J.J. Abrams, il Prescelto
Considerando il subentro in corsa a Colin Trevorrow e i feedback poco positivi su Episodio VIII a causa delle scelte di Rian Johnson mal digerite dai fan, J.J. Abrams ha dovuto adattarsi ai tempi ristretti di produzione senza potersi muovere nel suo campo da gioco preferito, il fan-service. Questi aspetti hanno influito negativamente sulla regia, scricchiolante e sbrigativa in diverse scelte. Basti pensare al fatto che per rispondere alle due domande principali poste sin da Il Risveglio della Forza, ossia quali siano le origini di Rey e se il figlio di Han Solo si redimerà, il regista utilizzi diversi espedienti narrativi, forzature e situazioni fuori da ogni logica, pur di correggere alcune scelte di Rian Johnson detestate dai fan.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker non sembra nemmeno un film diretto da J.J. Abrams che, come un mestierante qualsiasi, ha fatto il minimo indispensabile per portare a casa il risultato senza catastrofi, riducendo al minimo le proprie ambizioni, facendosi letteralmente carico di riportare l’equilibrio nella Forza (ossia i fan, la vera forza di Star Wars).
Nonostante il film faccia il suo dovere, scorrendo via veloce e senza mai annoiare, la sensazione che il regista abbia cercato di raddrizzare la situazione per accontentare i fan è continua, e risulta fastidiosa in quanto non necessaria. Tra premesse off screen nei titoli di testa, love story improvvisate, e un nemico il cui arrivo non era mai stato accennato nei due film precedenti, la trilogia non può che risultare spezzata da una visione diversa e non uniforme dei due registi.
Star Wars è morto, viva Star Wars
L’Ascesa di Skywalker risulta a conti fatti il film più debole dell’intera trilogia, sia preso singolarmente che come epilogo, perché i correttivi sono talmente forzati che la saga sembra ricominciare da zero senza prendere in considerazione quanto accaduto nei due film precedenti, facendo sostanzialmente perdere il senso alla trilogia in quanto tale. Durante la visione ci si emoziona per Leia, per Chewie, per Lando, addirittura per C-3PO. Ma mai per Rey, Finn o Poe. I nodi vengono al pettine, ed il fallimento di questa nuova trilogia è tutto qui: in tre film non ha saputo regalarci un degno rilancio della saga, ma solo tanti momenti nostalgici, di cui J.J. Abrams è un abile navigatore, mentre chi ha voluto sperimentare e fare qualcosa di diverso è stato oltremodo criticato.
“Strength, mastery, hmm… but weakness, folly, failure, also. Yes, failure, most of all. The greatest teacher, failure is. Luke, we are what they grow beyond. That is the true burden of all masters.”
Queste sagge parole pronunciate da Yoda, nella scena che nella trilogia sequel più rappresenta lo spirito di Star Wars (nel film ritenuto dai fan come il più distante dalla saga originale di George Lucas), siano di insegnamento a Disney per i progetti futuri e di riflessione per tutti quei fan motivati esclusivamente dalle proprie aspettative.