Un’estate può cambiare tutto, un’estate per tornare a Hawkins dopo quasi due anni di – sofferta – assenza, un’estate per re-innamorarci di Stranger Things, forse la serie regina della programmazione di Netflix, che con questa terza stagione raggiunge l’apice della sua qualità, segnando un punto di non ritorno per ciò che verrà in seguito. Ma andiamo per ordine: Stranger Things 3 riprende la narrazione poche settimane dopo il finale della seconda stagione, in una cittadina dell’Indiana che per salvarsi dal caldo non può far altro che mangiare gelato o nuotare nell’affollata piscina comunale. Eccezione va fatta però per i nostri eroi, in particolare per una nuova coppietta molto affiatata, i dolcissimi – ma un po’ appiccicosi per i gusti di Hopper (David Harbour) – Eleven (Millie Bobby Brown) e Mike (Finn Wolfhard), rinchiusi nella stanza della ragazza a “diventare grandi”. Ma sempre con la porta socchiusa, ovviamente.
Crescere e diventare grandi, come in tanti film del magico periodo che ha ispirato e continua ad ispirare Stranger Things (che altro non è se un omaggio formato serie TV a quella cinematografia per ragazzi degli anni ’80), è il tema principale di questa terza stagione, che mette l’accento sui suoi vecchi e nuovi personaggi e la loro evoluzione, messi a confronto con l’avanzare del tempo e l’arrivo della pubertà/maturità.
Stranger Things 3: dove crescere è più difficile di sconfiggere il Mind Flayer
La terza stagione di Stranger Things, con un cast ora davvero numeroso, adotta una narrazione divisa in piccoli gruppetti, in maniera non troppo dissimile a quanto succedeva in Game of Thrones. Solo nel finale infatti i nostri eroi si riuniranno sotto uno stesso tetto, mentre la stragrande maggioranza del tempo vedrà più storie interconnesse, decisione che sicuramente va a vantaggio dello sviluppo dei rapporti tra i personaggi, creando nuove e intriganti relazioni. Il nucleo dell’azione è ovviamente ancora sulla coppia Mike-Undici, messa però in crisi dall’influenza di Max sulla ragazza, impegnata nell’affermarne la sua indipendenza in quanto donna. Ne scaturisce una nuova amicizia scoppiettante, con tanto di epico montaggio anni ’80 durante uno shopping sfrenato al nuovo supermercato di Hawkins, il Starcourt Mall. Mentre le due coppiette imparano a sopportarsi a vicenda, nello stesso gruppetto il povero Will si ritrova forse più isolato di quando era stato intrappolato per settimane nell’Upside Down, l’unico ormai a voler restare ancora bambino a giocare a Dungeons & Dragons. Ti capiamo Will, siamo con te.
Sempre parlando di relazioni più o meno complesse, la storyline di Jonathan e Nancy a caccia del loro primo scoop da giornalisti sottopagati (anche qui, vi capiamo!) risulta la più deludente del lotto (nonostante le spettacolari acconciature di Natalia Dyer), mentre non può passare episodio senza fare il tifo perché finalmente si mettano insieme Hopper e Joyce. Tuttavia, senza volervi svelare molto sulla trama, i loro piani verranno decisamente complicati da scienziati russi innamorati dei fast food e strambi alleati dai pochi capelli.
Il gruppo che però regala le maggiori soddisfazioni è quello composto dall’ex bulletto Steve, dal suo neo amichetto/allievo Dustin (di ritorno dal campo estivo con tante novità) e dalla new entry Robin, collega di Steve alla gelateria Scoops Ahoy e interpretata dalla già memorabile Maya Hawke, figlia di Ethan Hawke e Uma Thurman. Saranno loro, accompagnati anche da Erica, la geniale e irriverente sorella di Lucas, a fare la parte del leone in questa terza stagione, tra risate, intrecci amorosi e alcune scene assolutamente (una in particolare dal tema molto fantasy e musicale) memorabili. Difficilmente nella storia della TV abbiamo visto gruppi di attori con maggiore chimica tra di loro, qualcosa che eleva ogni conversazione di Stranger Things a un livello altissimo e ci stampa costantemente un sorrisone a 32 denti in faccia.
Back to the Future
L’altra grande attrattiva di Stranger Things è la sua ambientazione. Siamo nell’estate del 1985 in una città degli Stati Uniti centrali e si vede. Per i più nostalgici tra di noi è una manna dal cielo di citazioni, dettagli, musiche, vestiti colorati e ricordi. Impossibile non menzionare la scena che vede alcuni dei protagonisti entrare al cinema durante una proiezione di Ritorno al Futuro (uscito quell’anno) o non parlare della curiosa centralità alle vicende della serie data alla “New Coke”, un esperimento proprio di quell’anno della Coca-Cola che aveva rilasciato una seconda versione più dolce – immediatamente detestata da tutti – della sua iconica bibita. Questi particolari, uniti come detto a una colonna sonora fenomenale, denotano uno studio quasi maniacale da parte degli autori e fanno di Stranger Things 3 una sorta di capsula del tempo televisiva dell’anno 1985.
Un mostro gigante e i russi? Ancora?
Forse proprio la parte più debole di Stranger Things 3 è da trovarsi ancora nella minaccia che fa da sottofondo agli sviluppi dei personaggi e alle vicende già citate. Per la terza volta consecutiva infatti e per ragioni non meglio imprecisate (sebbene anticipate dagli ultimi secondi della seconda stagione), i cittadini di Hawkins si troveranno ad avere a che fare con un non meglio identificato pericolo arrivato dal Sottosopra, accompagnato da un non meglio identificato intrigo internazionale che coinvolge questa volta l’esercito russo. Anche qui non vogliamo rovinarvi la sorpresa del tutto, ma possiamo dirvi che in questo campo certo la fantasia degli autori non si è sprecata, anche nella rappresentazione molto “classica” della minaccia sovietica. Tuttavia, dopo anni ormai passati in compagnia della serie dei fratelli Duffer, abbiamo capito come tutto ciò sia calcolato e fatto sicuramente in maniera intenzionale. Stranger Things non cerca di stupirci o confonderci con un intreccio arzigogolato come un Dark qualsiasi, bensì punta tutto su una rappresentazione – a volte stereotipata – precisa delle tematiche che andavano proprio nei film per ragazzi di tre decadi fa.
E questo è il punto, sebbene comprensibile e condivisibile, che preclude a Stranger Things 3 un voto ancora più lusiinghiero. Perché per il resto l’ultima grande cartuccia sparata da Netflix ha tutto: un cast stellare e adorabile, una fotografia e degli effetti speciali a livello cinema e un amore viscerale per il periodo che va a rappresentare su schermo. Questa scelta conservatrice a livello di trama rende la serie forse il miglior “comfort food” presente sulla piattaforma di streaming più di successo al mondo: un prodotto coerente, rifinito, divertente che si guarda con enorme piacere, il quale allo stesso tempo però non – magari proprio per come è concepito – porta nulla o quasi di nuovo al panorama televisivo attuale.
Stranger Things 3 si dimostra ancora una volta uno dei prodotti meglio concepiti della libreria Netflix, che con questa terza stagione trova la perfetta quadratura del cerchio. Se cercate innovazione e stupore potete dedicarvi tranquillamente ad altro, ma se è intrattenimento quello che volete, magari con una buona dose di nostalgia degli anni ’80, allora la serie dei Duffer Brothers è quanto di meglio potreste trovare in televisione. Un’estate allora di completo successo per Netflix, e allo stesso tempo un crocevia importante: con la struttura attuale, le citazioni, e questa rivelazione sommaria del Sottosopra, il miglior risultato possibile è stato raggiunto e per la probabile quarta stagione si dovrà per forza cambiare registro. Per il momento però va bene, anzi benone, così.