Netflix ha colpito ancora, e stavolta con un prodotto tutto italiano: Suburra, la serie. Prequel dell’omonimo film (2015), a sua volta tratto dal romanzo di De Cataldo e Bonini, viene distribuita dalla piattaforma streaming dal 6 ottobre (la Rai trasmetterà la serie sul secondo canale nel 2018). La serie è composta da dieci episodi e vede dietro la macchina da presa tre registi: Michele Placido (primo e secondo), Andrea Molaioli (terzo, quarto, quinto e sesto) e Giuseppe Capotondi (settimo, ottavo, nono e decimo). Ogni puntata inizia mostrandoci alcuni fotogrammi in media res, separati dal resto dell’episodio da un brevissimo titolo di coda. Poi uno sfondo nero ci informa che ciò che abbiamo visto in precedenza, era avvenuto 24 ore prima. Tutta la storia viene raccontata in dieci giorni.
«Con i gioielli ti compri mezza Roma, ma con i segreti te la prendi tutta»
Suburra è ambientata nella sede del potere parlamentare e papale, Roma, e sotto i riflettori c’è la mafia capitolina, tanto simile a quella meridionale, ma con tratti unici. I personaggi di questa storia si muovono in un contesto decadente, fatto di giochi di potere, corruzione, piaceri della carne, segreti. La lezione da imparare qui è che ogni uomo ha un suo prezzo. Tutti si possono comprare perché tutti vogliono qualcosa in cambio o hanno dei segreti da tenere il più possibile celati. Nessuno è incorruttibile. Basta essere qualcuno di importante, che conta nelle decisioni politiche della capitale, per essere intercettati e acquistati dal miglior offerente. La droga, il sesso, la frustrazione nel non riuscire nella vita, il fallimento degli ideali, sono i cappi usati per tenere sotto il proprio giogo politici, preti, nobili, chiunque ricopra un ruolo rilevante nella società. A tirare i fili in questo teatro di burattini, talvolta ignari talvolta consapevoli e oppressi, sono poche persone, o meglio famiglie, potenti e pericolose. È il crimine organizzato, è la mafia romana.
«La politica vera è l’arte del possibile e tu sei ancora qui che lotti per l’impossibile»
Sebbene l’opinione generale (non di tutti, ovviamente) sia quella di considerare il crimine organizzato di matrice solamente del Sud Italia, la nostra storia ha sfatato questo mito. La mafia è un cancro diffuso su tutto il tessuto nazionale (e anche ben oltre) e ha diverse origini. Nel caso di Suburra è quella romana; mentre – ad esempio – in Gomorra (altra importante serie tv italiana, la cui terza stagione è in uscita il mese prossimo) è quella napoletana. Ma cosa differenzia esattamente le due mafie? Sicuramente il contesto in cui si trovano ad agire.
Da una parte, abbiamo a che fare con quartieri popolari (Scampia), abbandonati al proprio destino da uno Stato assente e vittima quotidiana di scontri armati tra famiglie malavitose. Dall’altra, la guerra è più sottile e si fa principalmente nelle sedi del potere istituzionale (Comune e Vaticano) Di sangue ce ne è poco e quello che c’è conta molte vittime tra i pesci più piccoli di questa rete criminale. Chi prova ad alzare la testa, si ritrova coinvolto in una guerra più grande di lui dall’esito incerto. Chi tenta di uscire da questa ragnatela mortale, si ritrova sconfitto, ma c’è anche chi riesce ad uscirne con coraggio. Chi è consapevole dell’importanza del proprio ruolo per questi criminali, rimescola le carte del gioco e siede al loro stesso tavolo da pari.
Non c’è Stato perché infetto lui stesso, ma vi sono quei pochi che cercano di fare il proprio lavoro di tutori della legge, ancora spinti da un’ideale di giustizia e uguaglianza scomparsi dalla nostra società. In questo contesto malsano, inoltre, si ritrovano a crescere e vivere quei giovani ventenni che del mondo conoscono solo la parte più brutta e prepotente, che vedono tutto come un gioco, un capriccio da soddisfare. Niente, però, è senza conseguenze: perché uccidere un uomo comporta sempre il massacro di un altro; perché l’amicizia tra tre ragazzi provenienti da famiglie in lotta tra loro, diviene un sogno poco realizzabile che lascia al suo posto i frantumi intrisi di sangue di uno specchio rotto.