Al giorno d’oggi al cinema, se si tratta di scene spettacolari con protagonisti gli aerei, non ci si stupisce più di nulla. Negli ultimi anni abbiamo visto Tom Cruise decollare aggrappato ad un aereoplano senza controfigura in Mission: Impossible – Rogue Nation, Tom Hardy far precipitare in una rocambolesca azione corale coi suoi scagnozzi un aereo nell’incipit de Il ritorno del Cavaliere Oscuro, Denzel Washington planare rovesciato in Flight in seguito ad un guasto ai motori. Si potrebbe andare avanti all’infinito nel raccontare tutte queste immagini di grande impatto visivo che solo la magia del cinema ha potuto far sembrare così credibili. Poi c’è il volo 1549 New York – Charlotte, che a causa di un bird strikes a due minuti dal decollo che danneggiò entrambi i motori costrinse il comandante ad effettuare un ammaraggio di emergenza sul fiume Hudson appena 208 secondi dopo la partenza. Ma cosa mai ci sarà di spettacolare a confronto con tutte le sequenze descritte in precedenza? Nulla di particolare in effetti, se non che i fatti descritti in Sully sono realmente accaduti, il 15 gennaio 2009.
Non è il solito eroe
Il comandante Chesley Burnett Sullenberger, per tutti Sully, il giorno in cui diventò un eroe aveva 57 anni, di cui 42 di esperienza come pilota. Ma l’emergenza a cui ha dovuto trovare un estremo rimedio in pochi attimi era un caso più unico che raro: non era mai successo prima infatti che un bird strikes danneggiasse entrambi i motori di un velivolo. Con una decisione rischiosa e presa in pochi secondi, Sully è riuscito a fare un ammaraggio di fortuna salvando tutti i passeggeri e dimostrando un sangue freddo fuori dal comune. Interpretato da Tom Hanks, il protagonista è un eroe composto, posato, non proprio il prototipo dell’eroe americano che siamo abituati vedere sul grande schermo. L’attore californiano ci regala una prova di grande spessore che gli varrà certamente una nomination agli Oscar che saranno assegnati il prossimo 26 febbraio. Degna di nota anche l’interpretazione di Aaron Eckhart (che molti ricorderanno per essere stato Harvey Dent nel secondo capitolo della trilogia Nolaniana del Cavaliere Oscuro) nei panni del co-pilota Jeff Skiles, che ha condiviso con Sullenberger gli attimi di panico nella cabina di pilotaggio in cui è stata presa l’estrema decisione dal comandante.
La ricostruzione dell’incidente è incredibile. Clint Eastwood ce la propone ben tre volte durante i 95′ di pellicola (che scorrono veramente fluidi) aggiungendo sempre più particolari facendo percepire allo spettatore l’impresa compiuta quel giorno di 8 anni fa, dettaglio dopo dettaglio.
La solita (auto)celebrazione americana?
Se per tutto il film non si ha mai la sensazione di star assistendo alla solita celebrazione propagandistica all’americana, per via della regia pulita e moderata di Eastwood e dei tratti caratteriali del protagonista che cerca tutto fuorché attenzioni e gloria personale, sul finale ci si ricrede, purtroppo. Seguono inevitabili spoiler.
Durante i titoli di coda infatti è proposta una reunion dei reali protagonisti di quel volo, i passeggeri che si qualificano col numero del loro posto a sedere ed il comandante Sullenberger in persona. Il film si chiude quindi con un’inquadratura del busto a tre quarti dell’eroe con l’immancabile bandiera a stelle e strisce sullo sfondo. Una caduta di stile che lascia con l’amaro in bocca e che inevitabilmente influisce negativamente sul giudizio finale. Ma d’altronde gli americani sono così, prendere o lasciare.