1984, sull’isola di Hemay in Islanda, in piena notte un gruppo di pescatori si imbarca nel mare gelido per una nuova spedizione. Giunti lontani dalla costa la rete del peschereccio si incaglia sul fondale causando il rovesciamento dell’imbarcazione e il suo lento sprofondare negli abissi. L’intero equipaggio perde la vita nel tragico incidente, tranne uno, Gulli. Il giovane pescatore non perde le speranze e con tutte le forze che gli rimangono cerca di nuotare verso la costa attraversando il gelido mare del Nord, affidandosi alle preghiere e alla compagnia dei gabbiani che hanno seguito il suo viaggio verso la salvezza.
Un survival movie atipico
Una storia sconvolgente e toccante è quella di The Deep, il film del regista islandese Baltasar Kormákur, che ha preso spunto da una storia realmente accaduta nella metà degli anni ’80 in Islanda.
Il regista conosciuto dal grande pubblico per film come Cani sciolti (2013), Everest (2016) e Resta con me (2018), con questa sua opera che risale a sette anni fa e che giunge in Italia con largo ritardo, si discosta dalle esagerazioni cinematografiche tipicamente hollywoodiane che potrebbe ispirare una storia simile, ma si affida alla cruda essenzialità dei fatti accaduti, ponendo al centro della sua macchina da presa l’umanità del superstite.
Il film ha una struttura molto scarna e lineare: in una prima parte vengono introdotti i membri dell’equipaggio, con una rapida occhiata alle loro vite ma senza soffermarsi più di tanto, perché l’unico vero protagonista è Gulli, intorno al quale ruoterà l’intera attenzione.
L’azione arriva quando il peschereccio affonda e porta alla morte il suo equipaggio. L’unico superstite realizza di essere solo in balia del mare gelido, nella notte oscura e silenziosa, ma con la tenacia di voler rimanere in vita. Gulli dimostra di essere più resistente di qualsiasi altro uomo in quelle disperate condizioni, non solo fisicamente viste le temperature glaciali, ma anche psicologicamente, rimanendo cosciente per tutto il tempo della sua miracolosa nuotata verso la riva grazie, secondo le sue dichiarazioni, alla compagnia dei gabbiani che volavano sulla sua testa. Sopravvissuto alle sei ore in mezzo al mare, non si lascia abbattere neanche dalla sfiancante camminata fino al villaggio lungo il tagliente terreno vulcanico.
Giunto in salvo Gulli, diventa non solo un eroe (appellativo che non sente di meritare), ma anche un fenomeno raro da studiare. Nessuno, neanche il più aitante e allenato uomo della marina, avrebbe potuto sopravvivere ad un’esperienza simile, e così Gulli viene sottoposto ad una serie di analisi che cerano di dare una spiegazione al fatto che sia ancora in vita. Qui la pellicola perde un po’ la presa e il coinvolgimento dello spettatore, ma regala comunque un finale intenso con una scena toccante grazie anche all’interpretazione di Ólafur Darri Ólaffson.
Un anti-eroe
La tragica vicenda del naufragio viene accantonata e ci si focalizza sull’emotività del protagonista che deve gestire lo shock di quello che ha subito e la morte dei suoi compagni, oltre al reinserimento nella società che lo vede con altri occhi.
Gulli non è il classico eroe che siamo abituati ad immaginare come protagonista di un survival movie. E’ un uomo semplice, un po’ rude, non con un fisico prestante e atletico, è timido ed introverso, un lupo solitario che non riesce a dichiararsi alla donna che ama. Il naufragio e la solitudine però lo portano ad aprirsi e a chiedere aiuto a Dio, scopriamo così la sua umanità, le sue debolezze, la sua forza e la sua voglia di vivere anche solo un giorno in più per poter pagare l’ultima rata della moto, bere il latte dal bicchiere e non dal cartone per rendere felice la madre, abbracciare la moglie del suo amico morto per dirle che non ha sofferto, e confessare alla donna che ama il suo sentimento.
All’Islanda e al miracolo della vita
The Deep non coinvolge lo spettatore con particolari dialoghi strappalacrime, ma lo fa il più delle volte con il silenzio profondo della solitudine, con sguardi malinconici e sofferenti, con flashback della vita di Gulli in formato 8 mm, lo fa con un’ambientazione che affascina e allo stesso tempo terrorizza.
La pellicola è dedicata ai pescatori islandesi e all’Islanda tutta, come sottolinea la colonna sonora tutta islandese in cui appare anche il gruppo post-rock Sigur Rós. I filmati d’archivio che si alternano ai titoli di coda, arricchiscono di fascino una storia vera che di reale sembra avere poco. La forza della vita che sconfigge la morte si incarna in Gulli che afferma “Io non sono che una piccola goccia nell’oceano”, a dimostrazione del fatto che anche una goccia può fare tanto.