HBO ha lanciato una nuova produzione nel mondo dell’intrattenimento televisivo: dal genio di George Pelecanos e David Simon, già apprezzato per The Wire, arriva The Deuce, che spicca per l’interpretazione di due stelle di Hollywood come James Franco e Maggie Gyllenhaal, rispettivamente anche produttore esecutivo e produttore.
The Deuce è prima di tutto un inebriante e denso spaccato della vita nei sobborghi di New York negli anni Settanta, un universo parallelo, una terra di confine in cui confluisce la più varia umanità, di ogni etnia, orientamento sessuale e vissuto. Un luogo in cui le leggi sono sospese e protettori e criminali si spartiscono il comando, in equilibrio tra mutevoli rapporti di forza con la polizia. In questo puzzle coloratissimo si svolgono le molte storie personali di cui si compone la narrazione, ugualmente messe alla prova di fronte al cambio dei tempi e al sorgere di un nuovo mercato, quello dei film pornografici.
Se visivamente lo spettatore è catapultato nella disinvolta oscenità sbattuta sullo schermo da inquadrature che non risparmiano carne e degrado, la sceneggiatura cuoce a fuoco lento, azzoppata dall’esigenza di sviluppare i destini di molti personaggi. Ci sono i “papponi” di colore, i padrini italiani, universitarie indecise, prostitute di ogni forma e colore animate dall’intento di sfuggire alla desolante vita di provincia, le perversioni dei loro clienti, la giornalista, poliziotti accondiscendenti, piccoli imprenditori della quarantaduesima strada. In questo ampio affresco risaltano naturalmente le vicende di James Franco, nel doppio ruolo dei gemelli italo-americani Vincent e Frank, un abile gestore in ascesa il primo, uno scapestrato che vive di espedienti il secondo, e di Maggie Gyllenhal, strepitosa negli scomodi panni di Eileen-Candy, una prostituta imprenditrice di se stessa che si imbarca nell’industria del porno.
Lo show è di certo una cronaca della nascita del cinema a luci rosse ma va oltre, offrendo un crudo e realistico ritratto di un’epoca fatta di contraddizioni ed estremismi che tutto, dai dialoghi, i costumi, la ricostruzione della città, la musica e le atmosfere, le interpretazioni del cast, concorre a rendere verosimile e ben rappresentato. La narrazione corale manca di un protagonista assoluto, intreccia diversi punti di vista e si sposta tra ambienti apparentemente distaccati ma segretamente connessi come bar e bordelli, cantieri e tribunali, politica e cinema, costruendo una sotto-struttura amorale e incentrata sullo sfruttamento del corpo femminile a molteplici livelli, vero fattore trainante della nascita di bordelli e cabine di masturbazione.
Così Simon e Pelacanos raccontano la parabola della pornografia, il passaggio dall’ombra della clandestinità alla luce accecante delle insegne al neon dei cinema, l’artificiosità del set, le grottesche soluzioni sceniche e persino il paradossale valore sociale che una tale industria assume migliorando la vita delle prostitute, prima esposte ai pericoli della strada e alle angherie dei protettori. Senza cercare sensazionalismo ed esaltazioni, privo di intenti didascalici e moralizzatori, come in The Wire, David Simon assegna alla purezza della narrazione il posto di scopo primario di The Deuce, preferendo una verità priva di orpelli e melodramma ai colpi di scena e intrecci complicati.
The Deuce può definirsi un’opera quasi verista, cruda ed esplicita, che procede nel suo naturale ordine cronologico senza ricorrere ad artifici narrativi, montaggi distorsivi e tutte le caratteristiche che hanno fatto amare il genere seriale, suspance e finali ambigui ad alta tensione. Un prodotto che forse non si farà amare dai più ma caratterizzato da indiscutibili qualità e raffinatezza, un cast multietnico e in forma smagliante, seconda testimonianza di come al suo creatore interessi principalmente il racconto spregiudicato e vero anche a discapito del clamore.