Ed eccoci lettori con la nostra recensione di The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun, nuovo film di Wes Anderson. Il cast che accompagna il regista in questa nuova pellicola è ricchissimo, basti pensare a Frances McDormand, Saoirse Ronan, Timothée Chalamet (recentemente visto nel magnifico Dune), Lea Seydoux, Benicio Del Toro, Jeffrey Wright, Edward Norton, Liev Schreiber, Willem Dafoe, Christoph Waltz e gli immancabili attori feticcio Owen Wilson, Tilda Swinton e Bill Murray. Presentato a Cannes 2021, andiamo a parlare di questo poetico e ricercato ma anche sregolato ed insolito film di Wes Anderson.
Un film ad episodi
Contrariamente a quanto scritto nelle pellicole precedenti, questo film ha una struttura a cornice e quattro episodi che vengono raccontati in successione. Un inserto dell’evening Sun di Kansas City perde il suo editore (Bill Murray) e decide di pubblicare un necrologio con tutti gli articoli più interessanti mai mandati in stampa, tutti ambientati ad Ennui-sur-Blasé. Tra le storie: quella di un pittore pazzo, una cronaca di rivolte studentesche nel ’68 e il rapimento di un cuoco. Il film quindi, divide il sopracitato cast in piccoli gruppi nei quali personaggi stravaganti e particolari possono interagire fra di loro, convergendo in insolite storie d’amore, di rivoluzione, di cronaca nera e arte.
Un insolito Wes Anderson
Il Wes Anderson che siamo abituati a conoscere, ovvero il regista dalla precisione maniacale della centralità del soggetto nell’inquadratura, dai pochi e chirurgici movimenti di macchina, ha deciso di sperimentare. Oltre al cambio di formato ai fini di un cambio di registro (da 16:9 a 4:3 in alternanza), si avventura in panoramiche, carrelli, zoom e macchina a spalla! Abbiamo anche l’uso alterno di colore e bianco e nero, a decifrare in ogni preciso momento l’emozione del personaggio e il sentimento della storia. Questa sperimentazione registica non intacca però il sublime ritratto che fa il regista ai suoi personaggi, sempre attento a renderli immortali ed iconici sia che usi il colore come in una straordinaria sequenza di Timothée Chalamet in moto oppure col bianco e nero in un intenso primo piano di Jeffrey Wright in prigione.
Un’insolita freddezza
Se quindi dietro la macchina da presa abbiamo un Wes Anderson un po’ diverso, nella storia, i semper fidelis troveranno quell’ironia tagliente e cinica tipica del cineasta. Tuttavia, parte di queste storie è trattata con freddezza e distacco e a lungo andare durante tutta la lunghezza del film, questo rischia di annoiare. Manca quindi quell’empatia che ha contraddistinto film come Moonrise Kingdom o Grand Budapest Hotel. Si può provare ad entrare in contatto con questi personaggi, ma lo si fa tramite l’obbiettivo super decorato ed eclettico di Wes Anderson. Certo, non manca la poesia della narrazione (una meravigliosa sequenza in b/n con Benicio Del Toro che dipinge una Lea Seydoux in nudo integrale ne è l’esempio perfetto), tuttavia non c’è poi tutta quella simpatia (nel senso arcaico del termine) con la storia e le sue dinamiche.
Che questo sia il Wes Anderson definitivo? Questo non possiamo dirlo. Può darsi che abbia raggiunto il suo modo di raccontare totalmente tecnico e quasi pienamente indifferente. Di sicuro la fotografia gioca un ruolo fondamentale nei perfetti quadri del film, così come le coinvolgenti musiche di Alexandre Desplat, così come le performance straordinarie degli attori e attrici. Un film consigliato nonostante tutto, per l’impatto visivo, per i fan di Wes Anderson, per gli amanti di atmosfere vintage, per gli appassionati del voice-over narrativo.
The French Dispatch uscirà l’11 novembre 2021, se vi è piaciuta questa recensione seguiteci anche sulla nostra pagina Facebook!