Anno Domini 2017, in un luogo imprecisato del globo terrestre. Ad un tavolo siedono la produttrice Kathleen Kennedy, co-direttrice generale della Lucasfilm, il regista Jon Favreau, che tutti noi conosciamo come l’assistente di Tony Stark, e tutti i cervelli del marketing della Disney. Perché è lapalissiano che The Mandalorian sia il frutto di una meticolosa operazione a tavolino ed abbondanti dosi di calcolo per mettere insieme una serie di trovate in grado di colpire al cuore i fan di Star Wars. Al contempo, terminata la visione dell’ultimo episodio della prima stagione su Disney+, è altresì evidente come questa operazione sia stata molto più genuina e molto meno ruffiana di quella messa in piedi da J.J.Abrams con la trilogia sequel.
Tanto tempo fa in un Far West lontano lontano…
Favreau nella sua carriera ha vissuto alti e bassi. Se da una parte ha diretto diversi film davvero brutti, dall’altra ha avuto il merito di costruire, con Iron Man, una base solida per dieci anni di cinecomic contemporanei e di dirigere da buon mestierante due adattamenti dei Classici Disney come Il Libro della Giungla e Il Re Leone. Però è con The Mandalorian, la prima serie live-action di Star Wars, che per la prima volta in carriera ha completamente centrato il bersaglio. Dopo il flop del 2011 con Cowboys & Aliens, Favreau ha cercato nuovamente di fondere il genere western con il fantasy, questa volta con successo, perché in fondo l’anima western di Star Wars è sempre stata piuttosto evidente.
The Mandalorian, che è ambientato cinque anni dopo la caduta dell’impero, trasuda elementi western come un vero archetipo del genere: dal protagonista, interpretato da Pedro Pascal, che è un incrocio tra il Clint Eastwood de Il buono il brutto e il cattivo e il Charles Bronson di C’era una volta il West, ai dialoghi ridotti all’osso in favore dei lunghi silenzi come nei film di Sergio Leone, passando per i riferimenti ai grandi cult di genere come la scena finale dell’assedio. Ma l’omaggio migliore che ci regala The Mandalorian è sicuramente quello del quarto episodio, “Il Rifugio”, al film I Sette Samurai di Akira Kurosawa (omaggiato da John Sturges con il suo I Magnifici 7, guarda caso un western). Proprio quell’Akira Kurosawa autore de La Fortezza Nascosta, a cui George Lucas si ispirò per il suo Guerre Stellari del 1977.
Faverau e i suoi registi
La prima stagione di The Mandalorian è composta da otto episodi dalla durata di mezz’ora ciascuno, diretti da cinque registi diversi e, proprio perché nulla è lasciato al caso, non sorprende che il primo episodio sia stato diretto da Dave Filoni, regista e supervisore dell’animazione di Star Wars: The Clone Wars oltreché co-creatore e produttore esecutivo di Star Wars: Rebels. Lo stampo autoriale dei diversi registi è presente, ma moderato, e fa sì che la serie emerga nel complesso con una identità ben precisa. Ogni riferimento all’incoerenza dalla trilogia sequel con i film copia-carbone di J.J.Abrams, e la spinta di Rian Johnson verso una Galassia che non era mai sembrata così lontana lontana ai fan di vecchia data, non è puramente casuale.
Ogni regista ha avuto un compito abbastanza semplice per quanto riguarda lo sviluppo della trama, perché a parte le due puntate finali, lo schema di ciascun episodio è pressoché il medesimo. La struttura di ogni puntata è quella di una vera e propria missione autoconclusiva del protagonista, con tanto di obiettivo finale e ricompensa. Sebbene non ci si trovi davanti ad una formula innovativa, la serie risulta molto scorrevole, grazie ad una trama fruibile, a diversi plot twist d’impatto e all’introduzione di nuovi personaggi nell’universo canonico, tutti a loro modo iconici e molto ben caratterizzati.
Nonostante il protagonista sia un mandaloriano che, per definizione, è un guerriero che non si toglie mai il casco e che quindi poteva essere interpretato da un perfetto sconosciuto, la Disney non ha badato a spese ed ha reclutato un attore esperto di serie tv, Pedro Pascal (Game of Thrones, Narcos). La peculiarità mandaloriana che non permette al guerriero di mostrare il proprio volto è stata gestita alla perfezione dai diversi registi e da Pascal, che dona al suo personaggio una fortissima personalità ed espressività, nonostante casco e armatura.
Per il ruolo di Carasynthia “Cara” Dune, una mercenaria originaria di Alderaan co-protagonista della serie, è stata scelta Gina Carano, italo-americana ex lottatrice di MMA e prestata al mondo dello spettacolo come protagonista in film di arti marziali. Cara entra in scena durante il quarto episodio della serie, seduta in un bar, proprio come un eroe dei western al saloon, in attesa che esploda l’azione. La fisicità dell’attrice rende il suo personaggio ancor più rude e tosto di quanto probabilmente fosse stato scritturato.
Oltre ai due protagonisti, completano il cast dei nomi che scelti sicuramente per strizzare l’occhio a coloro che il primo episodio di Star Wars in ordine di uscita, Una Nuova Speranza, lo vide al cinema. Tra Clancy Brown, Carl “Apollo Creed” Weathers e Nick Nolte, che interpreta il burbero ma fidato Kuiil, la cui frase “I’ve spoken” è già cult, sembra che il casting sia stato fatto negli anni Ottanta. Menzione d’onore per il Werner Herzog, che grazie a questa comparsata finanzierà i suoi prossimi cinque documentari, e per Taika Waititi (Thor: Ragnarok), regista dell’ultimo episodio, “Redenzione”, e doppiatore del droide cacciatore di taglie IG-11.
The Mandalorian: Spoiler
Finalmente ci siamo, è arrivato il momento di parlare dell’elefante nella stanza, tenuto volutamente così in fondo per ridurre al minimo gli spoiler.
L’idea di introdurre una creatura aliena della stessa razza del leggendario Yoda e capace di controllare la Forza è stata veramente un colpo di classe. Nonostante ad oggi non sia stata dichiarata o dimostrata alcuna parentela col celebre Maestro Jedi, il bambino è stato soprannominato dai fan e dai media “Baby Yoda” e, solo a vederlo, è il Funko Pop di se stesso.
Un’operazione commerciale fatta e finita, capace di generare milioni su milioni di merchandising. Ma non è tutto. Perché il personaggio fa prendere una svolta improvvisa ed inaspettata al protagonista, che era stato assoldato per rapirlo, e che invece si troverà a difenderlo dai nostalgici imperiali.
Ma oltre alla comparsa di Baby Yoda, vi è un altro grande colpo di scena della prima stagione di The Mandalorian. Nell’episodio finale, l’antagonista Moff Gideon, interpretato da Giancarlo Esposito, esce dai rottami del suo Tie Fighter aprendosi un varco con una spada laser oscura lasciando lo spettatore con l’acquolina in bocca per la seconda stagione.
Con The Mandalorian, Jon Favreau e la Disney sono stati capaci di riaccendere la passione dei fan per Guerre Stellari (in maiuscolo), facendo loro dimenticare le guerre stellari (in minuscolo), ossia quelle dialettiche generate in questi ultimi anni per difendere o attaccare la trilogia cinematografica conclusa con The Rise of Skywalker. Trilogia che, nonostante tutto, ci ha saputo regalare (poche) scene entrate di diritto tra le più iconiche di tutta la saga di Star Wars, come la lezione di Yoda a Luke Skywalker davanti all’albero sacro di Ahch-To.
The Mandalorian non è stato assolutamente da meno, visto che già nella prima puntata abbiamo potuto godere di un fotogramma che rimarrà impresso per sempre nel cuore e nella mente di tutti i fan della saga di Star Wars.
Un’impronta chiara e delineata, i toni della trilogia originale, un cast azzeccatissimo, battute e fotogrammi iconici: cos’altro si può chiedere ad una serie tv? Magari una bella colonna sonora. Ebbene, il tema composto da Ludwig Göransson, che impasta suggestioni elettroniche, flauti e sound tribale in salsa western, è semplicemente fantastico.
Non sarebbe stato davvero possibile chiedere di più a Jon Favreau, The Mandalorian è tutto ciò di cui i fan di Star Wars avevano bisogno per riconciliarsi con se stessi.