Dopo ben due anni di attesa, il 22 marzo è finalmente sbarcata su Netflix l’attesissima seconda stagione di The OA. Questa seconda parte è costituita da otto episodi e, ovviamente, vi invitiamo a leggere questa recensione solo dopo aver visto la S1! Detto questo, una delle tante domande che vengono fatte sui social circa questa serie è: è valsa davvero la pena attendere così tanto per questo sequel? La nostra risposta? Decisamente sì. Qui il link al trailer.
Se vi sembra di non aver capito molto di quanto successo nel 2016, benvenuti nel club! Probabilmente sarà così anche per gli eventi della seconda stagione, ma il bello di The OA sta proprio nel non essere un prodotto di facilissima comprensione. I contorti retroscena psicologici, quasi tendenti alla psicanalisi stessa, mantengono alta la guardia dello spettatore fino all’arrivo dei titoli di coda.
In ogni caso, se avete visto la prima stagione anni fa, state tranquilli, non sarà necessario visionarla nuovamente. Netflix mette a disposizione, all’inizio della visione della S2, un riassunto di appena tre minuti davvero provvidenziale, più che sufficiente ad avere un quadro chiaro di quanto successo fino a questo momento.
Una storia tra fisica e metafisica
The OA 2 si staglia su un doppio piano espositivo: uno di natura medico-scientifica, l’altro di natura sovrannaturale-fantascientifica. E molte risposte andranno ricercate proprio nel mondo dell’occulto e dell’imperscrutabile, con il rischio di cadere in dinamiche paranormali a tratti forzate. In altre parole: ogni ragionamento, per quanto razionale e lineare sia, verrà spesso smentito, portando lo stesso spettatore a chiedersi più volte: “Un momento! Ma cosa diamine sta succedendo?”. Se cercate certezze o risposte plausibili, quindi, questa non è la serie giusta per voi. Verrete continuamente messi in discussione. Vi sentirete impotenti davanti alle pieghe inaspettate che gli eventi assumeranno. Potrete solo decidere se accettare o rifiutare in toto una storia che viene a voi rivelata.
Brit Marling (ideatrice e attrice protagonista della vicenda) e Zal Batmanglij sono stati sicuramente coraggiosi nel riprendere un viaggio complesso e bizzarro qual è la storia di Prairie e co. Ciò che viene richiesto, però, allo spettatore è di aver semplicemente fiducia in ciò che viene raccontato, senza pregiudizi di sorta. Ma la fiducia, davanti ad una serie del genere, a volte non basta. Bisognerà accettare quanto viene raccontato, a mo’ di dogma, quasi a voler compiere un vero e proprio atto di fede. È l’unico compromesso necessario ed imprescindibile per non finire in collisione con le vicende narrate.
Un viaggio interdimensionale
Gli scenari che caratterizzano The OA 2 sono molto più numerosi e vari di quelli della prima stagione. Sin dal primo episodio, scopriamo che la narrazione non ha niente a che vedere con il laboratorio dello spregiudicato dottor Hap, un vero e proprio bunker sotterraneo in cui venivano svolti esperimenti al limite dell’umano. Il tutto con l’unico scopo di scoprire cosa accadesse durante le fasi di pre-morte. Se ben ricordiamo, alla fine della prima stagione, Prairie Johnson (OA) rimane coinvolta in una sparatoria nella scuola che Steve, Jesse, BBA, Buck e French frequentano. È a costoro che OA aveva raccontato la propria storia. Esibendosi tutti assieme nella danza dei cinque segni, i nostri personaggi riescono a far catturare il killer, senza prevedere, però, che quei movimenti avrebbero sortito un effetto inaspettato: dei proiettili vengono deviati verso il corpo di Prairie che, dopo pochi istanti, muore.
Eccoci alla seconda stagione. La coscienza di OA riesce, in qualche modo, a sopravvivere, viaggiando in un’altra dimensione e reincarnandosi nella giovane Nina Azarova, facoltosa ragazza di origini russe. A questo punto, la narrazione si focalizzerà sulle vicende dell’investigatore privato Karim Washington, ingaggiato da un’anziana signora vietnamita per ritrovare la nipote scomparsa, Michelle. I destini di Karim ed OA saranno destinati ad incrociarsi, fin quando l’attenzione non convergerà sulla C.U.R.I., un’organizzazione che usa i sogni altrui per creare una sorta di mappa onirica interdimensionale.
La concatenazione degli eventi prosegue inesorabile, a ritmo serrato, ed ogni singola scena proposta diviene essenziale per comprendere ciò che sta succedendo. La mancanza di tempi morti trascina pericolosamente l’utente verso la maratona compulsiva, con il rischio di rimanere in uno stato di coma vegetativo per tutto il giorno seguente. Lettore avvisato…
La sottile armonia degli opposti
È evidente che nell’universo di The OA 2 convivano tra loro concetti profondi, intramontabili e spesso in drammatica contraddizione tra loro: vita e morte, psicologia, fisica quantistica e spiritismo, multi-dimensionalità e metempsicosi. Ed è proprio la compresenza di elemento spirituale e razionale a rendere davvero rivoluzionaria questa serie. I confini fra una realtà ed un’altra si rivelano essere estremamente labili, tanto da spingere lo spettatore ai limiti dell’incredulità.
Il trio costituito da Prairie (Nina/OA), Homer e Hap è indissolubile. Per quanto diverse siano le personalità di questi soggetti, i tre sono destinati ad incontrarsi in ogni dimensione, loro malgrado, a causa di un interessante effetto eco: Hap è spinto da un desiderio ulissiano di conoscenza che una creatura sensazionale come OA può fargli raggiungere; Homer e Prairie, invece, sono mossi da un amore così forte da rompere ogni barriera spazio-temporale immaginabile. L’amor che move il sole e l’altre stelle.
Innegabile è anche l’abilità degli sceneggiatori nel riuscire a creare un misto di tensione, incertezza ed angoscia costante: ogni equilibrio raggiunto viene poco dopo messo discussione. Ed è proprio questo che spinge lo spettatore a restare incollato allo schermo. Il finale, di certo inaspettato, fa presagire, comunque, una continuazione nella narrazione di The OA. Speriamo la terza stagione sia all’altezza delle aspettative e che, soprattutto, non si debba aspettare troppo tempo!