The Prisoner’s Dilemma, il quarto episodio della nuova stagione di Prison Break, show di Scheuring in onda su Fox, ha decisamente rivoltato le carte demolendo tutte le certezze che sembravano essersi consolidate la scorsa puntata.
Tanto per cominciare, si è scoperto che per una volta Kellerman non era responsabile della trama fantapolitica che ha travolto la vita di Michael. A svelarlo è stato l’interrogatorio poco ortodosso ma efficace condotto da T-Bag e bruscamente interrotto dai colpi di pistola degli anonimi killer, che hanno decretato l’uscita di scena – questa volta definitiva – dell’ex agente della Compagnia.
Il vecchio antagonista ha comunque avuto il tempo di tracciare i contorni del nebuloso Poseidon: un fuoriuscito agente della CIA introvabile e senza volto, che ha voluto usare l’operato di Michael per favorire i terroristi e sollecitare una politica estera di cui è insoddisfatto. Evidente punto di contatto, questo, con l’ultima stagione di Homeland, e che forse denota il peso che il tema occupa oggi nella divisa società statunitense.
La situazione nel frattempo precipita anche nello Yemen: il califfato ha ormai preso la città di Sana’a innescando una pericolosa escalation anarcoide all’interno del carcere in cui Michael, i suoi compagni e Abu Ramal sono detenuti in isolamento. Per ragioni ancora ignote, come da abitudine, l’ingegner Scofield si dimostra essere in possesso degli strumenti per tentare una fuga al cardiopalma sotto la spinta della “folle soap opera messicana” che si consuma tra i detenuti ormai fuori controllo. I ragazzi riescono nell’impresa ma cadono vittima di un’imboscata di Abu Ramal, alla quale si sottraggono solo grazie al provvidenziale aiuto di Lincoln. I due fratelli sono finalmente riuniti, ma il video che li ritrae uccidere il califfo dell’ISIL trasmesso alla tv di Stato li ha resi nemici pubblici dei tagliagole.
Attraverso il percorso di Lincoln tra le vie della città sotto assedio vediamo una poco convincente invasione terroristica: qualche sparuta e poco feroce brigata di integralisti, cadaveri mitemente nascosti da lenzuola bianche e un’unica esplosione in lontananza, nonostante gli effetti sonori alla Apocalypse Now. Non che sia obbligatorio rappresentare violenza gratuita e atti truculenti, ma qui a mancare è l’impegno, la verosimiglianza e l’adrenalina a cui produzioni come la stessa Homeland alle sue prime stagioni ci hanno abituato. La morte è velatamente accennata, la brutalità delle bombe resta descritta a parole, gli spari colpiscono a morte solo i cattivi. C’è da considerare che non è il terrorismo quello che la serie si prefigge di raccontare, ma la scelta di un set mediorientale porta con sé inevitabili termini di paragone.
La sorpresa più grande ce la regala T-Bag: il galeotto ha infatti eluso i sicari di Poseidon (ironicamente chiamando il 911!) per seguirli e fotografare il loro incontro con… Jacob Anton Ness, il nuovo marito di Sara. Se The Prisoner’s Dilemma stia continuando a ingannarci facendoci sospettare dell’innocuo economista, non ci resta che scoprirlo nei prossimi episodi.